IL CINEMA IN CORTO: “LA STATURA DELLO STATO”

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La prima immagine dei titoli di testa del corto di Giovanni Nodari (che firma sceneggiatura, regia, montaggio, nonché la musica dei titoli di testa) è un po’ la chiave dell’intera opera: sei bambole matrioske, dalla più grande alla più piccola, schierate davanti ad eleganti volumi di un’enciclopedia. Un modo divertito per alludere tanto al tema della storia quanto alla sua struttura, che contiene al suo interno diversi livelli di interpretazione. La “matrioska” più grande è la storia stessa, molto originale ed decisamente surreale.

Nino (Luca Gatta, ironico e leggero) siede nel suo ufficio di nuovo Ministro delle Pari Opportunità e, mentre aspetta di festeggiare la sua nomina coi compagni di partito (l’immaginario Lista Sinistra Democratica, ovvero LSD), ripensa al suo cammino. Da bambino, stregato dalla visione di Twin Peaks, sognava di diventare identico al nano ballerino inventato da David Lynch, però il destino, e la genetica, l’hanno fatto crescere a dismisura, quasi due metri. Nino però non ha rinunciato al suo sogno e l’ha trasformato in una battaglia sociale e politica, riuscendo a diventare ministro e a far approvare una legge contro la discriminazione per altezza. Le cose vanno a gonfie vele: la sua popolarità è alle stelle, tanto che potrebbe aspirare al ruolo di presidente del consiglio. Ma la festa coi compagni di partito si trasforma in rissa, perché al momento delle foto di gruppo, un’infelice battuta di un collega (“nano, quelli alti, dietro”), gli dimostra che razzismo e discriminazione sono duri a morire.

I sette minuti del corto di Nodari sono belli in sé, perché il corto sorprende per la sua eccentricità, diverte per il suo sottile humour politico e colpisce per il contrasto fra “follia narrativa” e forma classica e raffinata. Ma è la stratificazione di significati il vero valore aggiunto. Perché  La statura dello stato parla in realtà di temi estremamente seri: la dignità sociale,  le pari opportunità, il politicamente corretto, la ricerca del consenso, lo smarrimento della politica. Però non utilizza lo strumento della satira o della favola metaforica. La statura dello stato è piuttosto una provocazione dadaista, uno disperato e cinico sberleffo all’orrore dei nostri tempi.

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Intervista con l’autore

Nato a Milano, Giovanni Nodari (33 anni) è vissuto lungamente a Mantova ed ora si è trasferito a Roma, dove ha frequentato un Masterclass in recitazione cinematografica patrocinato dall’Accademia Nazionale d’arte drammatica Silvio D’Amico. Ha pubblicato una raccolta di poesie (Della città chiamata amore in tempesta, Rio Edizioni) e lavorato come redattore per case editrici e siti web. Inoltre ha frequentare uno stage di sceneggiatura al Centro Sperimentale di Cinematografia e sempre come sceneggiatore si è classificato finalista a Calibro9 2016 (Genova Film Commission). Come attore ha recitato di recente negli ancora inediti Quando corre Nuvolari di Tonino Zangardi e Intervista con l’alieno del filmmaker indipendente Giorgio Pastore, ora in post produzione. Dal 2009 ha iniziato a realizzare cortometraggi, fra i quali Nice to Meet You Hate (2010), Heartmix (2014) e la web series H2oME (2014). Il suo ultimo corto La statura dello stato, interpretato dall’attore e doppiatore Luca Gatta e realizzato in collaborazione con Lombardia Film Commission, è stato in concorso, tra gli altri, al Los Angeles Cine Fest. Ora sta finendo la post-produzione di un nuovo corto: Grand Cinema Vivente Sigmund Freud.

La prima cosa che colpisce in La statura dello stato è l’originalità della storia. Quando hai iniziato a scrivere e quanto la scrittura è importante per te?

La scrittura per me è la base di tutto. Ho cominciato al liceo, componendo canzoni, poi sono passato alla poesia e soprattutto ai racconti brevi, che spesso sono stati l’origine dei miei corti.  Amo molto Murakami e Palahniuk, e credo che le mie storie un po’ somiglino un po’ ad entrambi: l’impossibile che entra e modifica il reale in modo surreale e favolistico, raccontato con un pizzico di cinismo e crudeltà. Quando scrivo vengo ispirato da tutto quello che mi ruota intorno. Per fare un esempio, l’idea di Heartmix, che ha per protagonista un ragazzo che architetta un piano fantascientifico e surreale per far diventare le due ragazze che corteggia una sola, mi è venuta al bar, mentre leggevo un articolo sui Bronzi di Riace. Dai due bronzi a due ragazze…

Nel cinema hai scelto una doppia strada: la recitazione e la regia. Come ci sei arrivato e quanto sono connesse fra loro?

Sono due strade che corrono parallele. Più di dieci anni fa ho fatto un corso di dizione solo per vincere la timidezza. Poi la cosa è diventata più seria: ho frequentato un corso biennale di recitazione (STM Scuola di Teatro di Mantova) e poi piano piano ho inizio ad avere qualche soddisfazione. Non solo perché trovo lavoro. Frequentare il masterclass patrocinato dalla Silvio D’Amico e stare a Roma mi ha anche permesso di incontrare Francesca Romana Bergam, la protagonista del mio nuovo corto Grand Cinema vivente Sigmund Freud. L’altro protagonista, Fabio Zulli, attore diplomato all’Accademia dei Filodrammatici, è invece mio amico da anni. Per quanto riguarda la regia sono totalmente autodidatta, ma ho letto e visto tantissimo. Direi che sono uno strano tipo di regista: uno che prima scrive, poi sul set se serve butta le cose all’aria e si lascia guidare dall’improvvisazione e dal caso.

Una sorta di piacere del rischio?

Piuttosto un destino costante. La sequenza finale del mio primo corto dovevo girarla nel centro di un paese. Ma c’era il mercato, così ci siamo spostati in un campo di grano. Ed è stato meglio del finale previsto. E tra le prime sequenze de La statura dello stato c’è invece un fuori scena. Io batto il ciak, ma Luca si infastidisce perché qualcuno parla dietro la porta, per cui, senza pensarci, si alza e apre la porta per zittirli. Quando ho riguardato quella sequenza mossa e sfuocata l’ho trovata perfetta, e invece di buttarla, l’ho usata. Io arrivo sul set con tanto di story board, perché è giusto così e utile, ma poi scopro sempre che le cose migliori sono quelle che si improvvisano.

A che punto sei con il nuovo corto?

Stiamo lavorando alla colonna onora, che, come quella della Statura, è tutta di brani originali. Direi che per Natale Grand Cinema vivente Sigmund Freud sarà una realtà. L’idea viene da un fatto di cronaca: la strage compiuta nel 2012 in un cinema da un folle con il costume di Bane. E’ una commedia nera e molto cinefila, visto che è anche un tributo ad alcuni dei miei film preferiti, da Taxi Driver a Matrimonio all’Italiana. E in scena “ci saranno” proprio Travis e perfino Sophia…