Dopo la presentazione alla Berlinale, il regista mauritano di La vie sur terre e Aspettando la felicità, candidato agli Oscar nel 2015 con Timbuktu, porta nei cinema italiani il suo ultimo film, Black Tea. Una storia d’amore – distribuita in sala da Academy Two a partire dal 15 maggio – nata dopo la scoperta da parte di Abderrahmane Sissako di un ristorante gestito da una coppia sinoafricana, il La Colline Parfumée richiamato dal titolo originale.
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IL FATTO
Aya (Nina Mélo), giovane donna della Costa d’Avorio, lascia il suo fidanzato all’altare prima del fatidico “Sì”. Due lettere che avrebbero siglato il suo contratto con l’infelicità. Ma la giovane, il cui destino sembrava già essere deciso, abbandona tutto e parte in Cina, per esplorare territori e culture diverse, alla ricerca della cosa più preziosa: sé stessa. E in questo viaggio di scoperta, impreziosito dall’antico e simbolico cerimoniale del tè, trova anche l’amore, nel quarantacinquenne cinese Cai (Han Chang).
L’OPINIONE
Noi occidentali, pur così solerti a dirci attenti ai mondi degli altri, abbiamo il limite di pensare che il pianeta ruoti attorno a noi. Basta una storia diversa dalle altre, come quella raccontata in Black Tea, per renderci conto che esistono migrazioni che non ci riguardano e incontri tra culture che invece proprio nella loro diversità, nell’unione tra queste diversità, finiscono col riguardarci eccome. In questo caso è grazie all’antico rituale del tè che queste diversità si incontrano, finendo per riconoscersi e diventando un tutt’uno inscindibile.
Black Tea veicola un messaggio importante: il coraggio di non lasciarsi sopraffare dagli schemi che la società ci impone. La vita di ogni persona sembra già programmata da un ripetersi di eventi, tutti uguali, che non lasciano alternativa: nascere, crescere, lavorare, sposarsi, avere figli. E guai a chi osi deviare da questa linea retta. Il vero dramma, ci ricorda Sissako, è semmai non riuscire a lasciare un porto sicuro nel quale non ci riconosciamo più. Oggi, e non solo in Africa, ma spesso persino dietro la porta accanto alla nostra, viene visto come un atto rivoluzionario. Al contrario, questa pellicola ci insegna che è un gesto di amor proprio. Per un motivo semplicissimo. Ognuno di noi ha un dovere prima di tutto con sé stessi quando nasce: trovare la propria felicità, o almeno provarci. Senza accontentarsi. Felicità che può nascere ovunque, lontano da quella che noi chiamiamo casa, che magari ha il pregio apparente di donarci una finta serenità, ma che spesso finisce col diventare una prigione.
Sissako ci ricorda di osare, e di sperimentare. Ci ricorda che tra la menzogna e la verità dei sentimenti, vale la pena di scegliere la seconda. E che lasciare la propria zona di conforto è sì un atto coraggioso, ma talvolta necessario per essere fedeli a sé stessi. Perché – sembra dirci – la felicità è un diritto di tutti, senza distinzione tra colore della pelle o etnie diverse. Ci ricorda anche che l’amore non conosce confini. Insomma ci ricorda di vivere.
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Annalisa Zurlo