Lo abbiamo incontrato al Festival di Berlino 2024, dove il regista mauritano – 63 anni, candidato agli Oscar nel 2015 con Timbuktu – presentava Black Tea (qui la recensione), una storia d’amore senza limiti, né frontiere, interpretata da Nina Mélo e Chang Han, della quale lo stesso Abderrahmane Sissako ci ha parlato. Sottolineando che “il rituale del tè ha un profondo significato simbolico nel film, è una cerimonia antica che permette a due persone, di culture diverse, di conoscersi e avvicinarsi, in uno spazio sacro“, come possiamo finalmente vedere anche al cinema, dove il film arriva dal 15 maggio distribuito da Academy Two.
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Un viaggio romantico e malinconico dall’Africa alla Cina, che esplora temi di oggi come l’identità e l’immigrazione, ritraendo “una donna alla ricerca di libertà, con la sua capacità di attraversare ogni genere di esperienza“: la trentenne Aya, che dopo aver detto di no il giorno delle nozze, lascia la Costa d’Avorio per una nuova vita in Cina. Qui trova lavoro in una boutique del tè di proprietà del 45enne Cai, che inizia a insegnare ad Aya l’antica arte della cerimonia del tè e con il quale il legame diventa sentimentalmente ogni giorno più forte.
Sissako, com’è nato Black Tea?
Almeno 15 anni fa. Volevo fare un film che non parlasse direttamente dell’Africa, perché la geografia può essere riduttiva nel cinema, ma mostrarne un aspetto che non si vede spesso. L’Africa è un Paese da cui le persone migrano, non necessariamente per ragioni economiche, ma anche per altri motivi. Troppo spesso c’è uno sguardo europeo o euro-centrico di quel mondo, eppure esistono anche sfaccettature diverse.
Il film fotografa temi attuali come l’incontro tra culture diverse e l’immigrazione.
Il ruolo di un artista è di guardare la realtà e osservare ciò che intorno a noi sta cambiando. L’Africa è un continente forte e pieno di ricchezze naturali da una parte, ma anche povero dall’altra. L’Europa e l’Asia hanno bisogno di questo Paese. In Algeria ogni anno vengono celebrati 20mila matrimoni misti tra algerini e cinesi. Questo non era mai accaduto in un secolo di colonizzazione francese e che ci dice, invece, molto del mondo odierno, anche se è qualcosa che l’Europa non vede. Per me alla fine questo è soprattutto un film che parla di due persone adulte che cercano di capirsi e amarsi. Non conta poi così tanto il fatto che lui sia cinese e lei africana.
La cerimonia del tè ha un significato molto forte nel film.
L’umanità è fatta di persone che si incontrano. Puoi lasciare un villaggio, andare in un altro e incontrare il tuo unico, vero amore. La cerimonia del tè è stato un modo per rendere la relazione tra i due protagonisti più intima e anche per consentire a questa coppia di trovare uno spazio sacro in cui conoscersi e avvicinarsi.
Black Tea parla anche di identità. Che significato ha per lei?
È impossibile definire questa parola, perché contiene in sé le identità di tante persone. Ed è proprio il movimento delle persone a creare l’essenza dell’identità. Eppure c’è chi è incapace di accettare un mondo diverso da quello a cui siamo abituati. Siamo spaventati, ma la paura non ha mai portato ad alcun cambiamento. La paura è qualcosa che ti rende più fragile e più debole e non ti protegge affatto. Solo se sei in grado di superare la paura, acquisisci forza. Nel film Anya dice di no il giorno del suo matrimonio perché la società le sta imponendo qualcosa. Ma quando arriva in Cina, e incontra altre persone, scopre che le donne in qualche modo sono simili a lei. Il film racconta di una donna africana che va in Cina, ma potrebbe incarnare qualsiasi donna, e questo vale anche per il personaggio maschile.