Una giornata con Martin Scorsese

Il grande regista newyorkese protagonista ieri al Tff: premiato la sera al Teatro Antico, ha incontrato anche la stampa internazionale e gli studenti siciliani, raccontando progetti e retroscena della sua arte e dei suoi film

Anche qui sento il calore e l’effetto della gente, degli amanti di cinema e del mio cinema. E vi ringrazio. Ma la mia vita di regista non è stata mai facile. Ho avuto sempre grandi difficoltà. Ma gli ostacoli devi superarli e non ci sono scuse”. Martin Scorsese ha concluso così, ieri pomeriggio, un affollatissimo incontro con gli studenti siciliani che ha rappresentato il culmine di una giornata interamente dedicata a lui al Taormina Film Festival, in cui, in ottima forma nonostante l’età non più giovane (ha compiuto 82 anni lo scorso novembre), ha anche incontrato la stampa internazionale e vissuto poi momenti di grande emozione, la sera, al teatro Antico, prima premiato dal direttore artistico del Festival, Tiziana Rocca, artefice della presenza del grande maestro del cinema mondiale, e assistendo poi alla visione della versione restaurata di uno dei suoi film leggenda, Taxi Driver, girato esattamente 50 anni fa.

Dopo New York, New York, ad esempio – ha detto Scorsese agli studenti – ho vissuto un completo break e tempi pericolosi. Poi sono rinato, grazie a Toro Scatenato, e la mia vita è cambiata completamente. Ma poi ci sono stati due film per me importanti da girare, L’ultima tentazione di Cristo e Gangs of New York, per cui non riuscivo ad avere i finanziamenti. Dopo L’ultima tentazione di Cristo sono rimasto solo. Faticai anche a realizzare Quei bravi ragazzi. E Taxi Driver, che riuscimmo a portare a casa grazie alla forza contrattuale di De Niro, reduce da Il Padrino Parte seconda. E che mai avrei pensato sarebbe diventato un simile successo. Anche il progetto dei Santi, che sto ultimando, ha avuto difficoltà. Ma gli ostacoli devi superarli e non ci sono scuse. Oggi poi, che ogni telefono è una macchina da presa, puoi fare il tuo film e devi tentare“.

Scorsese, che ha ricordato anche i suoi legami con la Sicilia (“Mio nonno è nato qui vicino, a Polizzi Generosa, mia nonna a Ciminna”), ha spiegato che The Saints, nel quale aveva coinvolto anche Papa Francesco, “nasce dal desiderio di capire cosa rende tale un santo, appunto. Stiamo girando proprio qui in Italia, a Roma. Quest’anno abbiamo Santa Lucia, San Paolo, San Pietro, Maria, San Patrizio e anche Longino”. “Non mi aspettavo un papa americano, ma trovo la cosa non così importante. Da qualsiasi parte venga, deve essere il papa di tutti. E ho grandi speranze per Leone XIV”. Il regista newyorkese ha anche ricordato i “molti incontri con Papa Bergoglio: Stiamo anche finendo un film intitolato Alderes, realizzato con un gruppo argentino, girato in Sicilia (dove ero anch’io lo scorso ottobre). Nasce da un precedente film con Papa Francesco, un progetto di Netflix di qualche anno fa, dove alcuni anziani davano consigli ai giovani. Io ero uno degli anziani”.

Il suo prossimo progetto cinematografico, però, sarà sulla vita di Gesù: “Sto ancora lavorando alla storia, che voglio ambientare nel mondo contemporaneo. E penso che ci vorrà ancora un altro anno prima che trovi l’approccio giusto. Risale agli inizi degli anni ‘60, quando volevo fare un film basato sui Vangeli, ambientato nel Lower East Side di New York, nei quartieri poveri dove sono cresciuto. L’avevo già in mente, ma stavo ancora iniziando a muovermi nel mondo del cinema, all’epoca all’NYU, che era molto piccolo: solo 30 studenti nel dipartimento di cinema. Oggi ce ne sono migliaia. Poi vidi Il Vangelo secondo Matteo di Pasolini. E lì mi dissi: “Stop. Basta. Devo trovare un’altra strada”. Quella alla fine diventò, molti anni dopo, L’ultima tentazione di Cristo, che a sua volta mi portò a Kundun e poi fino a Silence. Se avrò ancora tempo in questa vita, mi piacerebbe fare un ultimo tentativo”.

Scorsese ha anche spiegato il perché in questo momento della sua carriera monumentale, ha scelto due progetti legati alla religione, alla spiritualità: “Quando ero molto giovane, uno dei luoghi in cui trovavo un po’ di conforto era la cattedrale di downtown, la vecchia Saint Patrick. C’era un prete che era davvero in gamba con noi ragazzi, un giovane prete molto severo e forte, che ci introdusse alla letteratura, come Graham Greene, James Joyce, James Baldwin. Parliamo della fine degli anni Cinquanta. Ci faceva vedere anche certi fil e aveva un approccio completamente diverso alla vita che conducevamo. Perché noi vivevamo in un mondo antico, davvero antico. Noi eravamo una nuova generazione, e fuori da quel mondo c’era un altro posto che si chiamava New York, che a sua volta faceva parte di un altro posto chiamato America, che era parte del mondo. E quel prete sapeva stare in mezzo tra quei due mondi, e ci parlava come nessun altro. E io pensavo che sarebbe stato bellissimo essere come lui, essere un insegnante così. Ma non avevo la forza. Ero sempre malato, soffrivo d’asma terribile, non facevo sport, venivo sempre parcheggiato o al cinema o in chiesa. E quindi per me era: cinema o sacerdozio. Ma il cinema..ma dai, che senso ha fare film da New York? Era una follia. I film si facevano in California, con macchine enormi, e chissà come funzionava tutto quello. Quindi, alla fine, pensavo che il sacerdozio fosse la mia strada. Ma durò solo sei mesi, in un piccolo seminario. E capii che non era per me. Intanto il cinema si stava aprendo. La narrazione era sempre lì. E così ci sono entrato dentro, quasi naturalmente”. Ecco perché gli elementi religiosi ci sono sempre stati. Anche in Taxi Driver, o in Toro Scatenato: “Intendo dire è che le storie che mi attiravano, e i personaggi, sembravano avere, magari anche inconsapevolmente, un legame profondo con il Cristianesimo, con il Cattolicesimo, con la ricerca spirituale, con il trovare pace con sé stessi. È come un western, solo ambientato a New York. Ma sì, Gangs of New York è ambientato nel mio quartiere. È dove sono cresciuto. E’ stato un film naturale da girare. L’unica cosa è che non c’erano italiani. Erano immigrati irlandesi, e gli irlandesi subirono le prime grandi ondate di ostilità contro l’immigrazione in America”.

In Gangs of New York Scorsese ha raccontato le radici dell’America, sempre segnate da conflitti, sangue, ferite. Oggi ci sono rivolte a Los Angeles, una situazione terribile con gli immigrati: “Si ripete sempre. È successo anche con gli italiani. A un certo punto misero un limite, una quota, all’arrivo degli italiani. Molti arrivavano attraverso New Orleans, soprattutto siciliani, ma anche napoletani, a fine Ottocento. Il punto è che ogni nuovo gruppo che arriva in questa democrazia ‘sperimentale’ viene guardato con sospetto, perché è diverso. Dopo gli italiani arrivarono i portoricani. Ed ecco West Side Story. Il Paese continua a introdurre nuove culture. E ogni cultura, va assimilata”.

Inevitabile la richiesta di un commento sulla politica americana e l’avvento di Donald Trump: “Sono deluso da lui. Non dà spazio alla compassione. Credo che un atteggiamento come il suo, basato su rabbia e odio, finisca per essere controproducente perfino per se stesso. E tutto questo fa male alle persone”.  Anche lui è convinto che negli Usa la democrazia sia sotto pressione: “Non sono uno storico, ma leggendo molta storia, mi sembra che siamo a un livello che si avvicina a quello che portò alla Guerra Civile americana, nel 1860, perché la spaccatura nel Paese è evidente. Ci vorrà almeno una generazione perché i rapporti diventino un po’ più distesi tra le persone. Magari con la fine di questa amministrazione ci sarà qualcosa di più favorevole, che porterà a un equilibrio. Perché nessun programma è infallibile”. Il regista ha infine lanciato un messaggio alle giovani generazioni: “I ragazzi che crescono in contesti violenti spesso non si rendono conto della realtà in cui vivono. Vanno sostenuti, aiutati a diventare consapevoli. E bisogna stare molto attenti alla rabbia: può anche essere giusta, può spingerti ad agire, ma può anche consumarti. Il cinema in questo ha un ruolo fondamentale, ovvero quello di mostrare la verità”.

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