È appena tornato da Shanghai dove ha presentato il suo ultimo lavoro FolleMente. Dopo averla già superata al box office italiano, Paolo Genovese, con la sua nuova e divertente commedia cerca di bissare, anche al livello internazionale, il successo planetario di Perfetti Sconosciuti. «Siamo solo all’inizio del cammino ma dalle richieste di remake e dai Paesi che lo hanno già acquistato, secondo me le potenzialità ce le ha. Effettivamente il percorso che sta avendo Follemente all’estero è molto simile a quello di Perfetti Sconosciuti» ci risponde il regista romano che dopo un veloce pit stop casalingo è atteso all’Italian Global Series Festival di Rimini-Riccione dove presiederà la giuria che si occuperà delle serie Comedy.
Quali paesi hanno già chiesto di fare la versione locale di FolleMente?
La Francia, la Spagna, la Germania, il Portogallo, la Polonia, la Romania, la Cina e persino gli Stati Uniti, che con Perfetti Sconosciuti, erano stati più tiepidi, si erano mossi dopo, più lentamente diciamo, lo hanno già richiesto.
Ha già incontrato i componenti della giuria del Global Series Festival? Su cosa punterete?
Non ci siamo ancora riuniti per condividere e decidere quali criteri adottare. Personalmente un peso importante nella decisione finale lo deve avere la qualità di scrittura che è fondamentale per una commedia. Poi l’originalità dell’idea, anche se non è sempre necessaria, però è accattivante, specie per raccontare alcune tematiche. E per finire ovviamente le capacità attoriali dei protagonisti. Questi, secondo me, sono i tre fattori che rendono appetibile e memorabile una serie.
Vi conoscevate già?
Non con tutti e la cosa mi diverte. Secondo me le giurie devono essere varie. È bello quando il giudizio viene da visioni diverse. Nella squadra poi ci saranno anche i fratelli Manetti che stimo moltissimo, mi divertono molto le loro opere, anche se facciamo cose diverse.
Cosa ne pensa di un Festival dedicato alle serie?
C’era assolutamente bisogno di questo Festival perché c’è la profonda necessità di ricollocare bene, nell’ambito festivaliero e dei premi, le serie. La serialità è un prodotto profondamente, narrativamente e drammaturgicamente diverso dal film. La serie devono avere i suoi festival, i suoi premi e i suoi spazi. Non possiamo mischiarli. Non va bene che ai David ci siano le serie premiate insieme ai film, perché la tipologia di valutazione non può essere la stessa, far parte dello stesso calderone, perché sono espressioni artistiche troppo diverse.
Eppure sempre più Festival cercano di accaparrarsi anche le serie.
Io direi che siamo ancora in tempo per fare una riflessione seria. Non è che non devono partecipare ai Festival dedicati al Cinema, dico solo che devono avere all’interno il loro spazio e la loro dignità. Sarebbe anche bello poi se a Venezia e Cannes dessero anche un premio alla serialità. Ma non si devono assolutamente mischiare i due prodotti.
Esiste ancora la distinzione tra fiction e serie?
Alla fine sono termini che definiscono lo stesso prodotto. Oggi non saprei davvero distinguere quale è una serie e quale una fiction. Sotto il grande cappello della serialità ci sta tutto, compresi i vari sotto generi, come la sit com, la comedy, il drama etc.
Quando hai capito che alcuni tuoi film avevano del potenziale per diventare una serie?
Ci sono delle storie e quindi dei personaggi che hanno la possibilità di continuare ad essere raccontati, approfonditi, personaggi particolarmente amati dal pubblico. Quando mi hanno proposto di fare una serie su Immaturi, ho subito accettato perché aveva le potenzialità di racconto, idem per Tutta colpa di Freud, perché con un padre alle prese con le figlie ci puoi costruire una serialità infinita. Ci sono invece altri prodotti che non hanno questo respiro narrativo e allora bisogna saper resistere alle tentazioni e dire di no. Come ho fatto per Perfetti sconosciuti. Quel tipo di racconto non aveva bisogno di altro spazio per essere ulteriormente sviluppato. Alla fine secondo me è tutta una questione di tempo. Ogni prodotto ha la sua necessità narrativa in un determinato periodo di tempo.
Eppure oramai sono tanti i film che diventano serie.
La necessità di alcune piattaforme di avere contenuti seriali ha portato ad un notevole aumento della produzione di serie, alcune meravigliose, con un ritmo giusto tra gli episodi, altre meno. Si avverte quando alcune storie che avrebbero avuto il naturale racconto in un tempo minore sono state diluite per arrivare ad un numero di episodi necessari a riempire lo scaffale della piattaforma. Il risultato è che hanno un ritmo più lento che spesso annoia. Sono convinto che molte serie, se compresse nei tempi giusti, magari da otto a quattro puntate, ne guadagnerebbero tantissimo. La stessa cosa sta avvenendo sui documentari, alcuni con delle tematiche meravigliose, ma raccontati con una lentezza folle, fatta apposta per raggiungere le puntate necessarie. Questo secondo me è deleterio.
Le sue tre serie del cuore?
Sicuramente Lost, che ha cambiato definitivamente questo mercato. Secondo me c’è un prima e dopo Lost. Poi metterei Succession per la qualità incredibile di scrittura e infine Dexter per l’originalità assoluta di racconto e anche per una mia riflessione personale su come una buona scrittura riesca in qualche modo ad alterare la percezione di alcuni nostri convincimenti o principi. Dexter fondamentalmente è un serial killer, ma il modo di raccontare la sua evoluzione, il suo personaggio, le sue cose, ti portano ad amare questo serial killer. Il pubblico che lo segue, che fondamentalmente nella maggior parte dei casi è assolutamente contrario alla pena di morte, ama follemente uno che invece la applica continuamente. Certo uccidendo dei criminali, ma egli stesso possiamo considerarlo un criminale. Una serie con un esercizio di scrittura davvero straordinario.
È appena tornato da Shanghai dove ha presentato FolleMente, come è andata?
Meravigliosamente. Mai lo avrei immaginato. Eravamo in questa sala enorme, con appunto il pubblico cinese, e temevo che le battute non fossero capite appieno, perché la commedia è spesso legata ad esperienze nazionali. L’umorismo non è sempre trasversale. Invece gli spettatori ridevano e battevano le mani e si divertivano quasi di più che in Italia. La distributrice cinese vedendo queste reazioni di entusiasmo si è molto fomentata. Anche le recensioni erano tutte quattro o cinque stelle. Quindi tutti molto felici.
Quale è il remake di Perfetti Sconosciuti che le è piaciuto di più?
Quello coreano, perché ha una scrittura così diversa, diversa anche la messa in scena anche proprio a livello di recitazione, di acting rispetto all’italiana. Devo dire che mi ha divertito molto. È tutto molto esagerato, tutto vissuto in maniera molto drammatica da un lato e molto divertita dall’altro. Pensa che come genere loro lo hanno classificato come horror.
Progetti futuri?
Il 20 ottobre sarò sul set del mio nuovo film.