La passione di Marco Bellocchio per le serie

Il grande regista a confronto con Alberto Barlbera, direttore della Mostra del Cinema di Venezia, sul tema della serialità d’autore e la caduta degli steccati con il cinema

Ogni storia ha un suo tempo, la durata necessaria a raccontarla. Il mio impegno nella serialità è nato così”. Lo ha detto ieri Marco Bellocchio all’incontro Masters of Storytelling che ha coinvolto il grande maestro del cinema italiano e un’altra figura chiave del nostro cinema, il direttore artistico della Mostra del Cinema di Venezia Alberto Barbera.

Serie come Esterno notte – ha spiegato Bellocchiosul rapimento e l’uccisione di Aldo Moro, e ora Portobello sull’arresto e la terribile vicenda giudiziaria vissuta da Enzo Tortora, che vedremo tra qualche mese sulla nuova piattaforma Hbo Max, sono nate da temi che mi coinvolgevano profondamente, che sentivo dentro di me”. Sono vicende che ha sviluppato in forma seriale “perché sapevo che entrambe avevano bisogno di più tempo, una cadenza che curiosamente per entrambe è stata di sei puntate“. Parola di Marco Bellocchio, protagonista con Alberto Barbera, direttore della Mostra del cinema di Venezia nell’incontro Masters of storytelling all’Italian Global Series Festival in corso a Rimini e Riccione.

Portobello, come Esterno notte, ha per protagonista nei panni di Tortora Fabrizio Gifuni (già volto di Moro nella prima serie di Bellocchio), affiancato tra gli altri da Lino Musella, Romana Maggiora Vergano, Barbora Bobulova, Carlotta Gamba, Alessandro Preziosi, Fausto Russo Alesi e Salvatore D’Onofrio. Anche questa serie “non ha matrice ideologica. Non mi interessa schierarmi da una parte o dall’altra. C’è una riflessione sulla giustizia ma c’è anche altro. L’ideologia ormai è scomparsa, tutto sta cambiando e continuerà a cambiare molto rapidamente soprattutto per i più giovani. Ho affrontato queste storie, così straordinariamente importanti, cercando di raccontarne la complessità e senza essere nostalgico, anche se c’è una parte del pubblico in Italia che quando proponi qualcosa di nostalgico, risponde“. Nelle serie che firma c’è “il mio sguardo ma anche una sua suspense specifica, è anche quello che mi colpisce sempre nelle serie americane belle. C’è sempre a un certo momento, uno scatto, una sorpresa che ravviva l’interesse dello spettatore“.

Bellocchio ha confermato di utilizzare una forma diversa di racconto quando gira le serie: “Devi privilegiare la velocità del racconto, togliere tutto ciò che non è davvero necessario. E, qua e là, fermarti a imprimere con forza il tuo punto di vista anche visivamente”.

Il grande maestro del nostro cinema ha confessato di “non essere un grande consumatore di serie”, ma anche che, quando le guarda, sente la libertà di “spegnere e fare altro” quando non lo convincono, “a differenza di quando vai al cinema e il film che stai vedendo non ti piace. Sono tra quelli che restano lì fino alla fine”.

Barbera ha invece spiegato perché la Mostra di Venezia “è stata tra le prime grandi manifestazioni internazionali ad aprire, già anni fa, alla grande serialità”: “Quando ti rendi conto che il linguaggio è cambiato – ha detto – e che grandi registi e grandi autori si misurano con il nuovo mezzo espressivo, hai il dovere di recepire la novità e di proporla al pubblico. È ciò che abbiamo fatto, sperimentando lo scorso anno anche l’idea di offrire il racconto completo di una serie, non solo le prime due puntate, come è accaduto in passato. Il pubblico ha risposto in modo sorprendente”. E, ancora Venezia, la Mostra di Venezia è diventata un punto di riferimento, creando un precedente seguito poi da altri grandi festival.

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