Gianmarco Saurino tra il sociale e la politica: «Con Kabul racconto qualcosa di grande»

L'attore di Doc e Per Elisa racconta a Ciak la serie in concorso all'IGSF sulla caduta della capitale afghana

In competizione all’Italian Global Series Festival, Kabul ripercorre i drammatici eventi del 15 agosto 2021, quando i talebani riconquistarono la capitale afghana tra l’evacuazione delle truppe occidentali e il panico dei civili. Prodotta da Rai Fiction e diretta da Kasia Adamik e Olga Chajdas, la serie ha tra i protagonisti Gianmarco Saurino nei panni di un console ad interim ispirato a Tommaso Claudi, il diplomatico italiano rimasto a Kabul quando ormai tutti avevano lasciato l’Afghanistan. Un uomo apparentemente comune, che si rivela progressivamente un eroe silenzioso, simbolo di responsabilità e coraggio.

Kabul ci trascina nel caos di un momento storico reale e drammatico. Come sei arrivato a farne parte?

È successo tutto con un provino in video call con le due registe, sei o sette mesi prima dell’inizio delle riprese. Avevano ricevuto il mio nome dai casting. Mi hanno mandato parte della sceneggiatura e l’ho trovata potentissima già sulla carta. Hanno creduto in me e da lì è partito tutto.

Cosa ti ha colpito così tanto da dire subito sì?

Soprattutto il mio personaggio: ha un arco narrativo stupendo, un uomo qualunque che si ritrova a fare scelte importanti. Mi piace inseguire storie che siano al servizio di qualcosa di più grande del semplice intrattenimento, che possano fare la differenza per chi guarda. Non tutti i progetti devono per forza avere questo tipo di impatto, ma se la maggior parte della mia carriera andrà in questa direzione, vorrà dire che l’ho fatta come volevo.

Sei uno che ama mescolare il proprio lavoro con interessi personali, umani.

Sì. Credo che questo mestiere debba farsi portavoce di storie che non hanno voce facile. Ma no, non voglio diventare “l’attore impegnato” per definizione: è un’etichetta, e le etichette mi stanno strette da sempre. Ho lottato per togliermele di dosso sin da piccolo. Però se posso usare il mio mestiere per dare spazio a chi non ce l’ha, lo faccio.

Come ti sei preparato per interpretare questo personaggio?

Ho letto e guardato tutto: reportage, documentari, immagini di quei giorni. Non sono riuscito a incontrare il vero Tommaso Claudi, purtroppo, ma ho cercato di restituire l’atmosfera. Quello che mi ha aiutato davvero è stato immergermi nella paura, nel caos, nella disperazione di quei giorni infernali. Quelle immagini – persone che si aggrappano agli aerei pur di fuggire – mi sono rimaste addosso. E poi sul set c’erano 500 comparse al giorno, molti avevano vissuto la diaspora in prima persona: afghani, siriani, palestinesi, libanesi. Dovevo solo ascoltare, stare lì, sentire.

L’hai definita una serie di gran qualità. Ti sei emozionato anche da spettatore?

Assolutamente sì. È una serie che guarderei anche se non ci fossi dentro. Girata benissimo, intensa, realistica. La qualità è altissima, sotto ogni punto di vista.

Come vivi il clima di tensione internazionale che stiamo vivendo? 

Non voglio lanciarmi in previsioni, ma non temo una terza guerra mondiale in senso classico. La sproporzione di forza tra USA, Israele e gli altri attori in campo è troppo ampia. Ho molta più paura delle piccole ripercussioni: attentati, atti di rabbia. Quello che mi sconvolge è il silenzio dei governi, l’impotenza. La Palestina non è stata lasciata sola oggi, ma da 75 anni. Questo silenzio fa male.

C’è un genere che non hai ancora esplorato e che ti piacerebbe affrontare?

Sì: mi piacerebbe interpretare uno sportivo, reale o inventato. O anche un musicista. Mi affascina l’idea della disciplina, della routine quotidiana: svegliarsi per fare 8 km di corsa ogni giorno, o esercitarsi con uno strumento. È qualcosa che non riesco a fare nella vita reale, e forse per questo mi attrae.

In Call My Agent 3 ti vedremo in un ruolo nuovo. Raccontaci qualcosa.

Mi sono divertito tantissimo. È una serie che avevo visto e nella quale mi sarebbe piaciuto entrare, anche per smontare quell’etichetta di attore impegnato di cui parlavamo prima. Interpretare un personaggio più leggero mi ha permesso di prendermi meno sul serio. Non faccio me stesso, ma un agente che arriva da fuori, che non fa parte della CMA. Una ventata d’aria fresca dopo progetti molto intensi.

Con Doc sei entrato nel cuore del pubblico, ma anche Per Elisa – Il caso Claps ha avuto un impatto fortissimo. Qual è il personaggio a cui la gente è rimasta più legata?

Il 70% della gente mi ferma per Doc e anche se [spoiler!] il mio personaggio muore molto presto continuano a chiedermi “Ma torni?!” La serie su Elisa Claps è quella che ha davvero lasciato il segno. Soprattutto su Netflix ha avuto un successo clamoroso. Quello è un progetto che ha superato il mestiere: ha dato dignità a una famiglia e a una storia che meritavano più amore e attenzione. Per me è stato come I cento passi per Lo Cascio. C’è un prima e un dopo Elisa nella mia carriera.

Il tuo ultimo film è stato Maschile Plurale. Tornerai presto al cinema?

Sì, ho due progetti in partenza l’anno prossimo. Uno in particolare è bellissimo, ma non posso ancora svelare nulla. Ritroverò un regista con cui ho già lavorato e che stimo molto.

Chiudiamo con un podio. Le tre serie del cuore di Gianmarco Saurino?

Lost. Almeno le prime tre stagioni, poi non ci si capisce più nulla!
Poi, a rischio di suonar banale, dico Breaking Bad, perché è perfetta. Qualche giorno fa ho anche conosciuto Giancarlo Esposito, ci siamo scambiati i numeri, una cosa assurda.
E infine direi Euphoria, a pari merito con The Handmaid’s Tale. Impazzisco per Elisabeth Moss.

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