LA RECENSIONE DEL DIRETTORE: “VI PRESENTO TONI ERDMANN”

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Toni Erdmann Germania/Austria, 2016 Regia Maren Ade Interpreti Sandra Hüller, Peter Simonischek Distribuzione Cinema Durata 2h e 42’

Al cinema dal 2 marzo 2017

L’andamento è questo: all’inizio stupisce, poi prende ripetutamente in contropiede confondendo il più possibile le carte critiche, alla fine Vi presento Toni Erdmann, della regista tedesca Maren Ade, convince, diverte e soprattutto commuove senza ombra di ricatto, cosa sempre più rara. Il film, elogiatissimo all’ultimo festival di Cannes, da cui è uscito tuttavia senza un premio, e lanciatissimo nella Awards Season, è un oggetto inconsueto e dirompente perché devia dal tracciato sempre più battuto della comedy padre & figlia per mutarsi anche in film politico sulla globalizzazione. La sua forza sta nel non cadere né da una parte né dall’altra, capace di reggersi con un equilibrio instabile sopra la follia e di sorprendere con continue svolte narrative e di tono.

Il padre è Winfried (Peter Simonischek), desolatamente in pensione dopo aver insegnato musica, ancora legato agli ideali umanisti e abbandonato in progressione dal suo unico allievo privato e poi dall’adorato cane; l’uomo è incapace di tenere il filo con la figlia Ines (Sandra Hüller), manager impegnata in una grande azienda internazionale a Bucarest, drogata di lavoro e stress e sempre appesa all’iPhone. Una prima sortita a sorpresa dell’uomo in Romania si conclude con una disfatta affettiva: trasandato e sempre pronto alla battuta fuori luogo, mette in imbarazzo Ines impegnata a combattere per una promozione e intenta a costruire, o forse impedire, un’ipotesi di delocalizzazione che significherebbe centinaia di licenziamenti. Rientrato anzitempo in Germania, Winfried fa poi ritorno nella capitale romena, ma questa volta sceglie un alter ego di nome Toni Erdmann, parrucca assurda e denti finti.

Pur di recuperare il rapporto con la figlia e farle ritrovare la felicità a suo avviso perduta in un mare di nevrosi, Winfried/Toni – mentre la figlia assiste attonita – si finge con tutti consulente e coach dell’amministratore delegato di Ines, frequenta, impresentabile, party aziendali e privati, irrompe anche nella vita erotica, ben triste, della giovane donna, alterna battute provocatorie e malinconie affettuose. Accade quel che non ci aspettiamo: Ines accetta la sfida del genitore e lo porta con sé nei luoghi di lavoro, mostrandogli la realtà di una Romania in via di sviluppo, ma anche arretrata, povera, soggetta alle regole drastiche della nuova finanza.

Il gioco è più duro di quanto immaginasse l’anima umanitaria e libertaria di Winfried, le contraddizioni del capitalismo all’epoca della crisi non sono sanabili solo con lo slancio ideale. Pian piano il gioco al massacro tra i due si trasforma in una surreale via crucis in cui la figlia sopporta il padre en travesti, coltivando il dubbio sulla propria esistenza fatta di slide e piani di ristrutturazione. Il culmine è il party che la donna organizza per la sua squadra di colleghi e capi stranieri e locali: in preda a una sorta d’inarrestabile demenza si spoglia dell’abito stretto e dei tacchi alti e accoglie gli ospiti tutta nuda. Detto così parrebbe un passo verso il baratro, ma forse no, forse è un passo verso la libertà di sapere chi accetta lo sconfinamento e chi invece è solo una superflua presenza nella propria vita professionale e privata.

Per non svelare troppo, va detto solo che Toni Erdmann riappare nella gigantesca maschera stile Chewbecca, un dolente e ciondolante Yeti interamente coperto di un lungo pelo sotto cui intuiamo dolore e amarezza finché non si sciolgono in un ipnotico abbraccio con Ines: il gigante e la fanciulla. È l’ennesima sorpresa di una regia che sembra scegliere d’impulso, inseguendo il tempo e gli stati d’animo con una macchina da presa che preferisce il respiro lungo, lento, ma che in realtà ha una precisione di taglio chirurgica.

Il film di Maren Ade ci chiede solo di lasciarci andare senza chiedersi il perché dei mutamenti, dei balzi d’umore stilistici, delle stranezze. Alla fine non arriverà una vera primavera a sciogliere il rapporto e il gap generazionale, e proprio in questo sta tanta verità di un film bellissimo quanto bizzarro. Ma è la vita che è bizzarra, direbbe il nostro Winfried/Toni, che sotto finale svela a Ines una piccola grande verità: «Mentre siamo attivi e giovani lavoriamo, telefoniamo, ci agitiamo e intanto il tempo scorre. Perdiamo tante cose per strada, ma ce ne accorgiamo solo dopo, solo alla mia età, da anziani. Tuttavia non c’è soluzione, perché in quel momento della vita non possiamo capirlo». Amaro? Forse. Ma insieme così reale e venato di una voracità di vivere e capire la vita che è il segno magnifico di questo film, interpretato da due strepitosi attori.

Piera Detassis

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