“Detroit”, il film sui terribili scontri razziali del 1967: la recensione

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Usa, 2017 Regia Kathryn Bigelow Interpreti John Boyega, Will Poulter, Anthony Mackie, Hannah Murray, Jack Reynor, John Krasinski, Kaitlyn Dever, Tyler James Williams, Jason Mitchell Distribuzione Eagle Pictures Durata 2h e 23′

 

Al cinema dal 23 novembre 2017

IL FATTO – Dal 23 al 27 luglio 1967, la metropoli di Detroit fu devastata da violentissimi scontri razziale, a causa di un inopportuno intervento della polizia in un bar del ghetto nero che vendeva liquori senza licenza durante una festa semiprivata. Dopo un’immersione a contatto diretto nel cuore degli incidenti (“questo è come il Vietnam”), il film ricostruisce le ore agghiaccianti vissute all’interno del Motel Algiers, in cui alcuni neri, tra cui un militare in licenza, un aspirante cantante soul e due ragazze bianche, vengono praticamente sequestrati e vessati da polizia e guardia civile. Un comportamento che provocherà sangue e turbe psicologiche in molti.

L’OPINIONE – 43 morti, 1189 feriti, 7200 arresti e 2000 edifici distrutti. Così Wikipedia traccia il bilancio di una delle troppe pagine infami sulla via della emancipazione e della lotta per la parità di diritti tra black people e white people. Katherine Bigelow, dopo i successi (e le polemiche) di The Hurt Locker e Zero Dark Thirty, gira quasi un terzo capitolo di una possibile trilogia bellica, in particolare vivisezionando – con un certo gusto per la sottolineatura sadica, dobbiamo aggiungere – le conseguenze della violenza nell’animo umano. Con lo stesso sceneggiatore dei due citati, Mark Boal, la cineasta ci immerge dentro i fatti, rendendone con il montaggio tanto la tumultuosità quanto l’impossibilità di evitarne la piega cruenta.

Tecnicamente parlando, grandissimo cinema, sorvegliato e acuto; proprio per questo capace anche di alimentare sospetti di eccessivo compiacimento a fini spettacolari (i 40 e rotti minuti all’interno del Motel sono una escalation di atti infami, da teatro isterico-grottesco-populista, che paiono invocare un giustiziere alla Charles Bronson o Keanu Reeves in soccorso). Gli attori sono corpi tesi, volti di emergenti o non notissimi, come Anthony Mackie (il Falcon amico di Capitan America), John Boyega (Star Wars), il fetentissimo Will Poulter (Revenant), Hannah Murray (Trono di Spade). Fatto salvo lo spirito di indignazione liberal che anima il team (il film è stato lanciato in patria con la miseria di 20 copie, costato 34 milioni di dollari e incassandone 16,7 solo nel primo week end di programmazione), mentre ne apprezziamo la robustezza e il ritmo avvolgente non possiamo non chiederci anche quanto maggiore impatto avrebbe avuto se non fosse un po’ troppo sulla scia di tanti altri film realizzati con analoga missione di istruire indignando.

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