Il direttore di Ciak mi chiede di descrivere che sensazione ha prodotto il festival di Venezia in chi non vi ha partecipato fisicamente. Quest’anno infatti sono stato al Lido solo poco tempo, due ore, per ritirare un premio, il Filming Italy Best Movie Award, per il documentario Edizione straordinaria che ho realizzato con Rai Cultura.
Non ho visto nessun film, stavolta. Ma ho seguito il festival sui giornali, in tv e sui litigiosi social.
Che impressione ho avuto? Che Venezia sia cresciuta in modo impressionante negli ultimi anni, che la qualità dei film proposti sia stata elevata, che ciò che un festival richiede, il contorno di star sul red carpet, fosse adeguato al nome della rassegna.
Alberto Barbera negli anni ha costruito, ciò che è più difficile, un’identità del festival. Lo ha reso un soggetto riconoscibile, definito da un’impostazione cinematografica e culturale chiara. Non il rifiuto del cinema spettacolare, non la demonizzazione della sperimentazione di linguaggi nuovi.
Il festival come arcobaleno delle forme di espressione, selezionate solo sulla base dell’indizio di qualità che dei selezionatori riescono a decifrare in una creatura in fasce, ciò che è un film appena sfornato dal montaggio e dall’edizione.
Il festival come caleidoscopio ispirato a tutto quello che sembra più estraneo all’angusto spirito del tempo: il piacere della coltivazione dell’ascolto delle diversità, il gusto dell’incontro con l’altro da sé.
Sono anni difficili, quelli che stiamo vivendo. Anni che ci hanno intristito e fatto piombare in un panorama quotidiano tenebroso, fatto di contagi, morti, incertezza, paura del proprio tempo.
In questo periodo i luoghi della fantasia socializzata sono rimasti chiusi. Chiusi i cinema, i teatri, i musei, le sale concerto. Siamo rimasti per mesi e mesi asserragliati nelle nostre case, costretti a rimediare al grigio che ci sovrastava attraverso i colori degli schermi accesi, chiamati in ogni casa a sostituire tutti i luoghi pubblici, quelli dove ci piaceva ridere, piangere, indignarci, emozionarci.
Ma ci piaceva farlo insieme.
Il tempo ci dirà se quelle porte chiuse riapriranno. Non è scontato che avvenga.
Per l’intanto il festival di Barbera e Cicutto ci ha fatto venire voglia di togliere le chiavi dalla toppa, di indossare una mascherina e di tornare a vivere insieme ad altri la grande emozione.
È molto, in questo tempo sbilenco.