«La prima volta che venni in Italia fu 31 anni fa per promuovere Il Re Leone a Euro Disney. Prima dell’evento, feci un viaggio indimenticabile attraverso il vostro Paese. Non ero mai stato a Pescara, sono contentissimo dell’invito». Rob Minkoff, tra i grandi protagonisti del 29esimo Cartoons on the Bay, ha incontrato il pubblico in un panel moderato dal nostro Oscar Cosulich per parlare di uno dei sui film più amati Il re Leone, da lui co-diretto nel 1994 insieme a Roger Allers.
Tra ricordi, aneddoti e clip inedite, il regista ha raccontato così la genesi del caposaldo della cinematografia d’animazione Disney.
C’è un episodio dal quale Minkoff è partito per spiegare il suo amore per il cinema d’animazione. A 15 anni, mentre recitava in un teatro per ragazzi, fece amicizia con un coetaneo appassionato come lui di disegno e animazione. Insieme crearono un cortometraggio che servì a Rob per entrare alla prestigiosa CalArts, l’istituto californiano di arti visive. Anni dopo, entrambi finirono a lavorare alla Disney: l’amico avrebbe diretto La bella e la bestia, lui Il Re Leone. Durante quello stesso periodo – racconta sempre Minkoff – si ritrovò a fare da babysitter a due sorelle. A casa loro trovò un libro che cambiò la sua vita: The Art of Walt Disney. Ne rimase folgorato, e scoprì che l’autore era lo zio delle due bambine, Christopher Finch. «Sembrava che una luce uscisse da quelle pagine. Tornai a casa e dissi ai miei genitori che quello era l’unico regalo che volevo. Lo conservo ancora oggi». Anni dopo, durante la lavorazione de Il Re Leone, la Disney annunciò un libro sul film: l’autore? Proprio Finch. «Quando ci incontrammo gli dissi quanto mi avesse ispirato, e lui mi rispose: “Conosco le mie nipoti, vero?”».
Dentro Il re Leone
Il film venne prodotto da Don Hahn sotto la supervisione creativa di Charlie Fink. Fu lui a far partire una semplice idea: “perché non facciamo una sorta di Bambi in Africa?”. La lavorazione che ne partì fu in realtà molto lunga, a partire dal titolo, che inizialmente si era pensato potesse essere The King of the Jungle. «The Lion King sembrava un titolo noioso, ma alla fine fu scelto. Oggi è impossibile immaginarlo in maniera diversa».
Nei primi stadi di sviluppo, l’artista Mel Shaw creò disegni ispirati ai concept narrativi. Minkoff ricorda un momento cruciale: un documentario, Lions and Hyenas: Eternal Enemies, trasmesso casualmente in TV, lo colpì profondamente. «Era così drammatico, emozionante… Pensai: se il nostro film può essere anche solo la metà potente, sarà un successo». I registi del documentario furono poi invitati a una proiezione privata del film.
Come da tradizione Disney, il team fece un viaggio di ricerca in Africa e portò perfino dei leoni veri in studio. «Incontrarli dal vivo fu travolgente. Vedemmo i leoni piccoli e i leoni adulti, poterli disegnare vedendoli da vicino fu incredibile.
Voci e musica: il Re Leone prende forma
Trovare le voci giuste fu fondamentale. Jeremy Irons fu scelto per interpretare Scar, un ruolo esaltato dal lavoro dell’animatore Andreas Dejas. Mentre per Mufasa, la scelta ricadde su James Earl Jones: «Aveva dato voce a Darth Vader, e nessuno meglio di lui poteva incarnare l’autorevolezza del re».
La musica fu l’anima del progetto. Dopo la scomparsa di Howard Ashman, Tim Rice entrò a far parte del team. Fu lui a suggerire Elton John, dopo che uno dei membri degli ABBA declinò l’invito. «Tim scriveva i testi, Elton componeva la musica, seguendo il loro metodo classico. Ma per dare l’autenticità africana serviva un’altra voce». Così entrò in scena Hans Zimmer, che aveva già lavorato su un film ambientato in Sudafrica. Voleva coinvolgere un cantante e compositore africano: Lebo M. «Hans lo cercava ovunque, ma non riusciva a trovarlo. Poi un giorno Lebo si presentò nel suo studio dicendo: “Ho sentito che mi stavi cercando”. E lì cominciò la magia».