“Non sono né rancoroso, né arrabbiato, non cerco vendetta ma più amorevole e comprensivo. Cerco di capire più che giudicare”. Kevin Spacey sintetizza così la sofferenza e le tensioni degli ultimi sette anni in seguito ai processi affrontati negli Usa e in Gran Bretagna per rispondere ad accuse di molestie e abusi sessuali su giovani uomini. Finora si sono in gran parte risolte con verdetti di non colpevolezza, anche se ce ne sono ancora due da chiudere nel Regno Unito. Spacey, vincitore di due Oscar, per I Soliti sospetti e American Beauty, è stato protagonista di una masterclass guidata da Marco Spagnoli, direttore artistico del Global Series Festival e di un incontro con alcuni giornalisti internazionali, per poi ricevere il il Maximo Excellence Award per House of Cards.
“Le esperienze degli ultimi sette anni – ha detto – mi hanno permesso di fermarmi e di tornare a riflettere e ad ascoltare. Sono grato del lavoro che posso fare oggi sullo schermo e fuori, sono pieno di gratitudine per le persone che mi sono state accanto e che hanno aspettato il risultato dei processi prima di giudicarmi, di loro mi fiderò per tutta la vita. Chi invece mi ha trattato subito da colpevole ha il mio perdono ma non lo cercherò più“. Gli ultimi sette anni per Spacey “sono stati incredibili. Mi hanno messo alla prova – racconta – ma anche permesso di scoprire cosa sia la vera amicizia, mi sono riavvicinato alla mia famiglia, a me stesso. I media hanno i loro obiettivi, qualunque essi siano, ma io mi sento accolto dalle persone”, come è accaduto anche qui a Riccione: “Sono grato ai miei fans e a quanti hanno continuato a fermarmi per parlarmi del mio lavoro. So che ci sono persone su internet a cui non piaccio molto ma nella vita non le ho incontrate“.
Spacey, 66 anni, ha anche ripercorso alcune delle tappe chiave della carriera: la formazione ricevuta alla Julliard che gli ha insegnato “la disciplina emotiva, fisica, artistica a intellettuale“, il teatro, il debutto folgorante nel cinema con I soliti sospetti, il successo di American Beauty (“un film che parla di cose senza tempo, delle domande che un uomo s i pone a un certo punto della sua vita”), le sue regie. Non è mancata una risposta brillante all’inevitabile quesito su Donald Trump, obbligato visto il ruolo del presidente Usa Frank Underwood interpretato in House of Cards: “Da attore – ha risposto in tono semiserio – non ho nessun consiglio da offrire a Trump ma come ex presidente potrei dirgli che il potere è solo una questione di percezione e questa dura solo quanto la gente ti consente di farla durare”.
Per Spacey le sei stagioni della serie sono state “una delle esperienze più esaltanti e divertenti della carriera”. “Non ho mai riso così tanto – ha detto – come su quel set. Credevamo in quello che facevamo, avevamo degli sceneggiatori incredibili, un cast fantastico. Robin Wright è stata la migliore partner che potessi mai sperare di trovare. David Fincher ha dato il tono a tutta la serie. È stata una gioia dall’inizio alla fine e, se trovassi qualcosa di altrettanto ricco, stimolante, divertente per la televisione, con così tante persone che adoravo come in quella serie, mi metterei al lavoro senza pensarci due volte”.
Non è mancato un ricordo dedicato all’amico Val Kilmer (scomparso ad aprile, ndr): “Era il mio migliore amico alla scuola superiore, abbiamo fatto insieme l’esperienza alla Julliard. E anche all’inizio della carriera in un allestimento di Shakespeare a Central Park. Poter condividere tutto ciò con Val, vederlo crescere come artista ha avuto un grande impatto su di me, lo conoscevo da sempre, immaginare la vita senza di lui è difficile”. Spacey in questi anni ha continuato a lavorare in piccoli film indipendenti, compreso L’uomo che disegnò Dio di Franco Nero, che l’attore ha ringraziato “per avermi ingaggiato quando nessuno lo faceva”.
Tra i progetti pronti ci sono il thriller ‘The Awakening‘ di Matt Routledge e il thriller storico 1780 di Dustin Fairbanks. “Ho sempre voluto avere un percorso simile a quello di attori come Jack Lemmon, che considero il mio mentore, Jimmy Stewart o Spencer Tracy, che hanno avuto carriere durate decenni e sono sopravvissuti a tutto”. Oggi da attore “sono molto interessato alle storie di redenzione, alle storie di silenzio e sopravvivenza, e allo spazio che esiste tra queste parole. Ho la sensazione di aver fatto molta ricerca in questo campo… ne ho una comprensione che sette anni fa non avevo”, conclude.