Il grido d’aiuto dei registi afghani

«Tutti gli archivi ora sono sotto il controllo dei talebani, molto registi indipendenti che negli ultimi anni avevano partecipato a Festival importanti, in poche ore hanno visto sparire il loro lavoro. Avete presente Schindler’s List? Ecco ad agosto nel mio Paese è successo qualcosa del genere». Al panel internazionale organizzato dalla Biennale Cinema sulla situazione dei registi in Afghanistan, la regista Sahraa Karimi prima presidente donna dell’Afghan Film Organisation, non lascia dubbi su quanto sta succedendo nel suo Paese, di fronte agli occhi impassibili del mondo intero. «Volevamo creare un paese migliore con i nostri artisti – aggiunge Sarah Mani, documentarista afghana – Ma questi avvenimenti ci hanno lasciato senza nulla e chissà se domani i talebani arriveranno anche nel resto del mondo. Nel mio recente film raccontavo degli abusi subiti da una ragazza, in Afghanistan purtroppo servono più di dieci anni per chiedere giustizia». Moderato dal giornalista Giuliano Battiston, il panel ha voluto accendere un faro sullo stato dell’arte in quel tragico angolo di mondo. «Non potete nemmeno immaginare quanto sia stato difficile – prosegue Kharimi – far capire a qualcuno del governo l’importanza del cinema Negli anni abbiamo cercato i finanziamenti per le nostre produzioni, abbiamo convinto le persone a raccontare le loro storie e a non aver paura della cinepresa. Ma dal 15 agosto è tutto è finito, abbiamo dovuto decidere se partire o rimanere. E non si tratta solo di pochi registi, ma di un’intera generazione giovane di menti brillanti, scappate senza nemmeno aver il tempo di portare con sé le proprie cose». Per Vanja Kaludjerciz, direttrice artistica dell’International Film Festival di Rotterdam, la Mostra di Venezia «è un podio fondamentale per rivolgerci alla comunità internazionale, perché come sentito dalle testimonianze delle due registe, la situazione lì è davvero critica»

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