Meno registe, più storie al femminile

Donne in Mostra. Più di sempre. Anche se, a prima vista, i numeri descrivono un piccolo passo indietro. Presentando il cartellone della 78esima edizione della rassegna il direttore Alberto Barbera ha tenuto subito a sottolineare che il calo di registe selezionate per la competizione (l’anno scorso erano otto, quest’anno sono cinque) più la «diminuzione residuale nella percentuale complessiva dei titoli selezionati» potrebbe essere frutto di una «fluttuazione casuale» ma anche «conferma, di cui avevamo già avuto sentore, che il lungo periodo di rallentamento produttivo abbia pesato maggiormente sulla componente femminile dell’universo cinematografico». Il Covid, insomma, ha penalizzato le fasce più deboli.

Quello che conta, però, sono le presenze nei ruoli chiave. Ovvero nelle giurie (in quella che attribuisce i Leoni ci sono il premio Oscar Chloé Zhao, Virginie Efira, Cynthia Erivo, Sarah Gadon) e nella materia delle narrazioni, nelle scelte di autrici e di autori che delineano figure e storie di donne in modi originali, problematici, fantasiosi.

Da questa prospettiva, che affonda le radici nell’immaginario dei registi di ogni sesso, il panorama è ricco e variegato. Si è cominciato ieri da Madres Paralelas in cui Pedro Almodóvar descrive la convivenza e la conoscenza tra due partorienti single, Janis (Penelope Cruz) e Ana (Milena Smit), ambedue alle prese con una gravidanza non attesa. Si va avanti con Mona Lisa and the Blood Moon di Ana Lily Amirpour, avventura semi-fantasy di una giovane donna dotata di poteri paranormali (Kate Hudson) in fuga dal manicomio, e ancora con L’événement di Audrey Diwan sulla lotta di Anne (Anamaria Vartolomei) che, nella Francia pre-Sessantotto, decide di abortire, sfidando la legge che ancora considerava la pratica illegale. Con The Lost Daughter, diretto da Maggie Gyllenhaal e tratto da La figlia oscura di Elena Ferrante, storia di Leda, insegnante d’inglese di mezza età che assapora la gioia dell’essere libera durante una vacanza al mare nell’Italia del Sud. Tra i grandi ritorni in gara spiccano quelli di Pablo Larraìn che, in Spencer, affida a Kristen Stewart il compito di incarnare l’icona Lady D nel tormentato periodo iniziato con la scelta del divorzio e finito con l’incidente mortale di Parigi, e di Jane Campion che, in The power of the dog, tratto dall’omonimo romanzo di Thomas Savage, dipinge, a partire dalla figura del dispotico allevatore Phil Burbank (Benedict Cumberbatch), un affresco a base di maschilismo e prevaricazione.

Analisi coraggiose sul tema della violenza sulle donne sono al centro di due pellicole di cui Barbera ha più volte sottolineato l’importanza. Una è The Last Duel in cui Ridley Scott, sullo sfondo di un Medioevo che serve a parlare dell’oggi, ricostruisce la cronaca della stessa vicenda di stupro attraverso i tre diversi punti di vista: del marito, della donna, dello stupratore. L’altra è Les choses humaines di Yvan Attal, basata sul libro della scrittrice francese Karine Tuil. L’accusa di violenza rivolta al giovane Alexandre, rampollo di una famiglia modello, finisce al centro di una complicata macchina giuridica e mediatica che mette in lizza diverse verità, ruotando sul nodo, sempre cruciale in questo tipo di processi, riguardante il ruolo della vittima e l’ipotesi strisciante del suo essere consenziente. L’impressione è che al Lido quest’anno, anche se in numero inferiore, le donne siano in realtà tantissime, moltiplicate dall’urgenza delle passioni, dei contrasti, dei problemi che solo loro sono capaci di mettere in campo, in tutta la loro nitida e affascinante potenza

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