Una potente idea di cinema

Scendere giù nelle cavità della terra mentre tutti, in Italia e nel mondo (è il 1961) puntano a crescere, verticalmente, verso l’alto. Lasciare il Nord industrializzato per visitare un angolodi quel Sud da cui tanti, (non solo) allora, partivano. È un film di “contro-movimenti” Il buco di Michelangelo Frammartino. Che sfida altri quattro, competitivi e titoli italiani in concorso, ben più manistream,oltre alla schiera di internazionali che contano (anche) sul ritorno delle star hollywoodiane. Ma, per certi versi, il nuovo lungometraggio dell’apprezzato regista de Il dono e Le quattro volte ha già vinto. Nel suo essere, a propria volta, un “contro-movimento” rispetto all’idea e alla pratica di cinema dominante. Senza nulla togliere alla forza immaginifica di un kolossal come il Dune di Denis Villeneuve, al carisma di un Antonio Banderas, all’intensità di una Olivia Colman, ai virtuosismi poetici di un Paolo Sorrentino o alle peripezie cantate da un Almodóvar, il film di Frammartino spariglia, probabilmente come nessun altro, le carte dei titoli più in vista di Venezia 78. Perché ci dice che un modo di fare cinema alternativo a ogni (pur legittima) convenzione drammaturgica o spettacolare odierna non solo è possibile, ma è in atto. Quello de Il buco è un cinema delle profondità, fisiche, estetiche e psichiche. Scavando in quanto abbiamo sotto (e dentro) di noi, per mostrarcelo come non meno enigmatico, sorprendente e significativo di quanto sta intorno e al di sopra. Un poema epico, nel suo essere un trionfo del collettivo e dei suoi particolari (pieni di irriducibile dignità) sui particolarismi e gli individualismi. Nel suo (ri)edificare e celebrare i valori comunitari dell’incontro e della ricerca, più che dello sviluppo fine a se stesso o a una ricchezza che non arriva mai a tutti. Un poema dove l’uomo non è il vertice ma “solo” un elemento, tra i tanti, di una natura sottratta a gerarchizzazioni antropocentriche. E di un cinema che fa quasi totalmente a meno di parole e musiche, con la radicalità di una rivoluzione fatta di immagini e suoni che non sapevamo o ci eravamo scordati. A Venezia stiamo vedendo, e vedremo, tanti bei film, e anche alcuni grandi film. Ma quello de Il buco è, appunto, al di là di ogni valutazione estetica o di contenuto che tocca ad altri dare, il manifesto di una rivoluzione, in forma di preghiera laica sul nostro rapporto col pianeta, la Storia, l’esistenza. Una rivoluzione che forse non travolgerà il sistema, ma potrebbe cambiare, profondamente, chi vi assiste. Cosa chiedere di più al cinema?

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