Cronache dal Lido

IN QUESTA PAGINA

  • The Matchmaker, parla la regista Bendetta Argentieri
  • Le parole dei protagonisti di Blonde: De Armas, Dominik, Brody
  • L’Iran e la paura dei registi indipendenti

The Matchmaker, parla la regista Bendetta Argentieri

«Mi occupo della questione delle donne dell’Isis dal 2015, e fin dall’inizio mi è stato chiaro come la loro narrazione sui media mainstream occidentali fosse completamente falsata». Lo afferma Benedetta Argentieri, giornalista indipendente, documentarista e regista di The Matchmaker, presentato ieri Fuori Concorso al Lido. Argentieri ha trascorso 11 mesi in Siria per girare questo doc dove racconta il fenomeno delle donne occidentali che durante il conflitto in Siria si sono unite al Califfato. Senza ricorrere ai consueti stereotipi che vogliono queste persone o fanatiche assassine o vittime sottomesse senza sfumature. Ma perché questo tipo di narrazione ha fatto tanto presa da noi? «Da una parte», secondo Argentieri, «c’è una visione ancora molto sessista, per cui spesso pensiamo alle donne in Medio Oriente come “vittime velate”. E poi è più rassicurante credere che una donna non abbia aderito ideologicamente a un gruppo terroristico di questo tipo. E loro, che hanno capito da subito questo gioco, si fingono vittime perché sperano così di non doversi assumere le proprie responsabilità». Vale anche per Tooba Gondal, la reclutatrice dell’Isis scappata da Londra a 21 anni e intervistata da Argentieri in un campo di prigionia del Nord-Est della Siria. «È stato molto difficile», confessa la filmmaker, anche perché «per accedere ci abbiamo messo un mese e mezzo, senza contare la temperatura a 50 gradi e le macchine che si spegnevano». E, come ben ci mostra il doc, le migliaia di detenute in questi campi dopo la sconfitta dello Stato Islamico chiamano in causa i Paesi occidentali che ancora non le rimpatriano. «Si crea un limbo che alimenta l’estremismo», sottolinea la regista. «Come puoi rifiutarti di riammettere i tuoi cittadini? Allora cosa vuol dire essere cittadini di uno Stato? È un precedente di una pericolosità estrema». L’alternativa sarebbe istituire un tribunale internazionale in loco, «ma la Turchia non vuole che accada perché significherebbe riconoscere l’Amministrazione autonoma del Nord-Est della Siria». Il film, non a caso, si sofferma anche sulla guerra di Erdogan contro quei territori, con le milizie curde (e non solo) che dopo aver combattuto il Califfato sono state abbandonate dagli alleati occidentali. «Centinaia di miliziani dell’Isis sono scappati grazie alla Turchia, che ha finanziato lo Stato Islamico, questo non lo dico io, ma le agenzie di intelligence come la CIA. Il punto però è che l’Europa è molto debole, e per fermare i flussi migratori farebbe qualunque cosa».

Emanuele Bucci 


Le parole dei protagonisti di Blonde: De Armas, Dominik, Brody

Andrew Dominik: “Ci sono storie che ti trasmettono una grande emotività, progetti che trattengono la tua attenzione per anni. Blonde non mi lascerà mai andare: anche quando non riuscivo ad arrivare al dunque rimanevo attaccato a questo progetto.”

Ana de Armas: “Se si mette da parte la star del cinema che era Marilyn Monroe, era solo una donna come me. Stessa età, stessa professione. Mi sono immersa in un processo molto lungo per entrare in connessione con lei, sono andata in luoghi oscuri, vulnerabili e scomodi. Volevo trovare la sua verità emotiva. Grazie a questo ruolo ho imparato ad essere più empatica, ad avere più rispetto, ma anche a proteggermi di più”.

Adrien Brody: “Film coraggiosi come Blonde sono essenziali per essere consapevoli della lotta che le donne hanno affrontato nel corso del tempo. Ho sempre adorato Marylin Monroe: il suo riconoscimento era così lontano da ciò che era. Molti attori possono relazionarsi su questo divario tra adorazione e rispetto”.


L’Iran e la paura dei registi indipendenti 

«C’è un prezzo da pagare in Iran per lavorare in modo indipendente dal governo», dichiarava Jafar Panahi nel 2004 in un’intervista. “Propaganda contro il regime” è appunto il reato per cui già nel 2010 (dopo aver partecipato a una manifestazione contro l’allora Presidente Ahmadinejad) era stato condannato nel suo Paese a sei anni di carcere, che ora dovrà scontare dopo il nuovo arresto. Ma, benché assente, Panahi fa sentire la sua voce a Venezia 79, non solo grazie al film in concorso ma anche tramite la dichiarazione rilasciata col collega Mohammad Rasoulof (Orso d’oro per Il male non esiste), anche lui arrestato a luglio e più volte censurato e condannato. «Il cinema indipendente riflette i suoi tempi, trae ispirazione dalla società e non può rimanere indifferente», affermano i due cineasti nel comunicato. Non a caso, la proiezione di No Bears al Lido sarà anticipata da un flash-mob sul red carpet del Palazzo del Cinema, per attirare i riflettori sul dramma dei registi imprigionati e perseguitati nel mondo.

Emanuele Bucci

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