Donne al Lido, qualcosa è cambiato

Che siano sante o assassine, combattenti o perseguitate, artiste alle prese con ectoplasmi o figlie che tornano a casa in tempo per assistere madri morenti, le donne hanno decisamente occupato l’immaginario degli autori cinematografici. Era ciò che da tempo ci si augurava, perché le vittorie non sono fatte di quote e numeri, ma di prospettiva e materia del racconto. Nella vetrina internazionale della Mostra di Venezia le epopee femminili brillano per vigore, varietà, originalità, e l’idea che, per giudicare quelle che aspirano ai Leoni, sia stato scelto un presidente di giuria come Julianne Moore non può che essere un buon segno. Coraggiosa, eclettica, estroversa, capace di apparire insieme glaciale e appassionata, l’attrice è un perfetto esempio di quel neo-femminismo concreto, lontano da proclami e da schieramenti settari, di cui oggi la causa della parità ha più che mai bisogno. Alla guida della giuria, con al fianco due donne, la francese Audrey Diwan, Leone d’oro un anno fa con La scelta di Anne – L’evenement,  e l’iraniana Leila Hatami, Orso d’argento nel 2011 alla Berlinale per la prova in Una separazione, Moore  garantisce sguardo libero e sensibile sul lavoro di autori e di autrici, queste ultime presenti in forze, senza polemiche e senza sottolineature, come da sempre avrebbe dovuto essere.

Da Alice Diop che ricostruisce il processo per infanticidio alla senegalese protagonista  di Saint Omer a Joanna Hogg che racconta una storia di fantasmi con Tilda Swinton in una casa stregata del Galles, da Susanna Nicchiarelli  che descrive la figura rivoluzionaria di Santa Chiara a Laura Poitras che in firma il ritratto della fotografa Nan Goldin e a Rebecca Zlotowski che proprio oggi porta sullo schermo Les Enfants des autres, la vicenda autobiografica del rapporto con il suo compagno, il regista Jacques Audiard,  il panorama delle registe in corsa segnala una molteplicità di spunti, indice di un processo di crescita ormai affermato.  Le percentuali segnano ancora la differenza: il 68,8% dei titoli iscritti alla rassegna sono ancora a regia maschile, ma il contenuto delle storie, in tutte le sezioni, indica attenzione nuova nei confronti di un universo finora sottovalutato. Nella vetrina di Orizzonti Extra, Carolina Cavalli mette a fuoco, in Amanda, protagonista Benedetta Porcaroli, un profilo di ragazza contemporanea che lascia il segno,  in Nezouh la regista siriana nata in Francia Soudade Kaada ambienta una narrazione allegorica di emancipazione femminile durante il conflitto siriano a Damasco,  in Valeria is getting married l’autrice israeliana Michal Vinik segue, nell’arco di una giornata, il percorso  di due sorelle ucraine trasferite in Israele,  in The happiest man in the world, la macedone Teona Strugar Mitevska racconta Asja (Jelena Kordici), single di Sarajevo alle prese con gli interrogativi dell’amore e del perdono. Insomma, la carica delle autrici è forte e vitale, se poi si aggiunge che il Leone d’oro alla carriera è attribuito a quel concentrato di energia e fascino che risponde al nome di Catherine Deneuve, la soddisfazione aumenta. Le battaglie per la parità si vincono senza rinunciare a un briciolo della propria personalità, Deneuve lo ha sempre saputo.

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