IN QUESTA PAGINA:
- Baby Invasion
- Beauty is not a Sin
- Why War
Baby Invasion
Harmony Korine lo ha fatto ancora. Venire a Venezia per lasciare a bocca aperta il pubblico della Mostra. L’anno scorso, con il geniale esperimento di Aggro Dr1ft, ultraviolenza agli infrarossi, diventato istantaneamente un cult. E non era comunque la prima volta, perché Korine è un frequentatore del Festival di Venezia da lungo tempo. Qui portò Gummo, il suo film d’esordio, nel 1997, e due anni dopo fu la volta di Julien Donkey-Boy (la scena di Werner Herzog che beve champagne da una pantofola è rimasta negli annali). Dopo una lunga assenza, nel 2012 torna, naturalmente per creare scandalo, con Spring Breakers, le rapinatrici sexy in bikini e passamontagna. Adesso è la volta di Baby Invasion, altro esperimento che esplora il mondo dei videogiochi FPS, ovvero First Person Shooting. O, come più amichevolmente vengono chiamati, gli sparatutto. Baby Invasion un videogame di questa categoria, estremamente realistico, che segue un gruppo di mercenari che, per nascondere le loro identità, usano volti di neonati come maschere digitali. La loro missione è semplice: fare irruzione in lussuose ville di proprietà di persone ricche e potenti e sterminare tutti quelli che incontrano in una lotta contro il tempo. Una folle corsa, dai risvolti evidentemente politici, come piace al 51enne regista di Bolinas, California. Il tutto è contrappuntato dalle musiche di Burial, britannico della musica elettronica.
Alessandro De Simone
Beauty is not a Sin
di Nicolas Winding Refn
con Laura Grassi, Stefano Gaeta / Italia, Danimarca / 7’
Sala Corinto
«Chi lo dice che un film non può durare sette minuti?». Così il regista danese ha voluto commentare il suo film che vede protagonista una giovane, che, durante la confessione, ammette la propria debolezza nel resistere alle tentazioni: il prete, dopo il racconto, ha una rivelazione e prende parte al suo peccato supremo. Girato tra Italia e Danimarca, nello stile inimitabile di Refn, il corto accompagna lo spettatore in un viaggio alla ricerca della bellezza. Oltre al corto verrà anche riproposto in versione restaurata, nella sezione Venezia Classici, anche il primo film del cineasta, Pusher -L’inizio, datato 1996, a cui poi sono seguiti altri due sequel con protagonista il suo connazionale, Mads Mikkelsen. La fama internazionale è arrivata poi grazie al sodalizio artistico con Ryan Gosling, interprete di Drive nel 2011 e di Solo Dio perdona nel 2013.
Tiziana Leone
Why War
«L’uomo ha dentro di sé il piacere di odiare e di distruggere», così Albert Einstein (1879 – 1955) scrisse a Sigmund Freud (1856 – 1939) in uno scambio epistolare a cui i due grandi intellettuali del secolo scorso furono invitati nei primi anni ’30 dalla Società delle Nazioni per riflettere e dialogare sul perché della guerra. Su quello stesso sentiero percorso dai due padri delle scienze moderne ha scelto di camminare anche il regista israeliano Amos Gitai (Laila in Haifa, 2020) per realizzare il suo Why War, presentato Fuori Concorso all’81ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. A lungo indeciso se collocare l’opera tra quelle di finzione o non finzione, il direttore artistico Alberto Barbera ha così descritto il lungometraggio: «È un film che mescola consapevolmente i due linguaggi, ma ciò che conta realmente in Why War è la domanda che il regista si pone a partire dallo scambio epistolare fra Albert Einstein e Sigmund Freud; una domanda che oggi più che mai risulta attuale di fronte al moltiplicarsi insano dei conflitti in ogni parte del mondo. Il ché ci dice quanto il film sia importante e necessario». Proprio con la sua precedente opera, Shikun (2024), quasi un’istallazione artistica che rappresenta tutto il senso di smarrimento e follia di fronte al conflitto israelo-palestinese, Gitai, da sempre critico nei confronti del proprio governo, aveva aperto la strada ad uno degli interrogativi più dilanianti per il genere umano, che ora cerca di esplorare con questo film. « Non c’è niente da vincere, tranne la morte», ha detto il regista in un’intervista, in questo senso Why War, interpretato da artisti cinematografici e teatrali verso cui Gitai nutre grande stima, quali Irène Jacob, Mathieu Amalric, Micha Lescot, Jerome Kircher, Yael Abecassis, riesce ad attualizzare il pensiero manifestato da Einstein e Freud un secolo fa.
Vania Amitrano