Pupi Avati chiude fuori concorso Venezia 81 con un racconto gotico, genere in cui il regista di Regalo di Natale si è distinto da tempi non sospetti (La casa dalle finestre che ridono, Zeder) e che ha frequentato più di recente con Il signor Diavolo. Come quest’ultimo, anche L’orto americano (prodotto da Minerva, DUEA e Rai Cinema, distribuito in Italia da 01) è tratto da un romanzo omonimo del cineasta, fra elementi storici e soprannaturali. Il Filippo Scotti di È stata la mano di Dio (con cui ottenne il Premio Mastroianni al Lido) è un aspirante scrittore che, nella Bologna degli anni ’40, s’innamora di un’ausiliaria statunitense. Fra le interpreti si segnala Rita Tushingham, pluripremiata per Sapore di miele e indimenticata (anche) nel Dottor Zivago. «Nell’attuale proposta di “ritorno al gotico”», spiega Avati, «con L’orto americano abbiamo dilatato i confini ambientando una porzione iniziale del racconto nel Midwest americano e la parte successiva in quella sorta di Midwest italiano che è il grande delta del Po». Per il cineasta è anche il primo lungometraggio dove mette in scena il Secondo dopoguerra italiano, col Paese ancora segnato dalla fame e dalle devastazioni del conflitto: «Sarà il mostrare proprio questa Italia ridotta in macerie, nella comparazione con la “rassicurante” America, a tratteggiare simbolicamente il disagio mentale che accompagna l’io narrante della nostra storia».