Ariaferma, Toni Servillo e Silvio Orlando per Di Costanzo

Il terzo lungometraggio di finzione di Leonardo Di Costanzo, Ariaferma, Fuori Concorso a Venezia 78, ci porta nell’immaginario carcere in dismissione di Mortara. Dove, per disguidi burocratici, viene rimandato il trasferimento dei pochi detenuti e agenti rimasti. Gli uni e gli altri divengono una nuova, fragile comunità, presso cui le vecchie regole che scandivano la vita del posto perdono di senso. Protagonista una coppia d’eccezione, Toni Servillo (al Lido anche con È stata la mano di Dio e Qui rido io, entrambi in concorso) e Silvio Orlando (a Venezia anche nel doc Ezio Bosso. Le cose che restano e nel film di chiusura Il bambino nascosto), per la prima volta fianco a fianco nello stesso film. Il cui cast comprende anche Fabrizio Ferracane, Salvatore Striano e un gruppo di esordienti. Non è la prima volta che Di Costanzo racconta storie di personaggi “prigionieri”: il suo primo lungometraggio di finzione (dopo una prolifica attività da documentarista), L’intervallo (2012, Ciak d’oro, Globo d’oro e David di Donatello come miglior regista esordiente), vedeva al centro una ragazza reclusa in un palazzo fatiscente per aver sfidato la camorra, e un ragazzo incaricato di sorvegliarla.

Dopo il film collettivo I ponti di Sarajevo (2014) c’era stato L’intrusa (2017), dove la moglie di un boss ricercato trova rifugio in un centro per sottrarre i bambini alla camorra. Dietro Ariaferma (girato in Sardegna e prodotto Tempesta / Carlo Cresto-Dina con Rai Cinema, in coproduzione con Amka Film Productions e RSI Radiotelevisione Svizzera / SRG SSR) c’è un complesso lavoro di documentazione in varie carceri: «Quasi ovunque», racconta il regista, «abbiamo trovato grande disponibilità a parlare, a raccontarsi; è capitato che gli incontri coinvolgessero insieme agenti, direzione e qualche detenuto. Allora era facile che si creasse uno strano clima di convivialità, facevano quasi a gara nel raccontare storie. Si rideva anche. Poi, quando il convivio finiva, tutti rientravano nei loro ruoli». Più che un film sullo stato delle carceri, allora, Ariaferma  potrebbe essere definito un film «sull’assurdità del carcere», sottolinea Di Costanzo. Che, secondo il Direttore di Venezia 78 Alberto Barbera, ha realizzato stavolta «la sua opera più convincente».

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