Il “professor” Benigni strega i suoi allievi

“Magari sarei potuto essere un pretino di campagna. Ma ho sempre sentito fortissimo l’istinto di raccontare. Anzi, di mostrare”. Alla “lectio magistralis” seguita ieri al conferimento del Leone d’oro alla carriera, Roberto Benigni ha forse deluso chi si aspettava di assistere da subito a una rappresentazione istrionica. Ma, ancora una volta, ha saputo arrivare nel cuore. Prima rispondendo a una (mia) domanda su cosa altro avrebbe potuto fare nella vita, poi mettendosi a nudo parlando del tempo che passa, sentimenti, cose in cui credere.

La lectio, moderata da Gianni Canova, è iniziata con una lezione di storia del cinema e su chi ha fatto il cinema: i suoi “modelli”, “autori spirituali che esprimono sentimenti”, per lui la “sommita’ fiorita”, “la cosa piu’ importante della vita”, che è fatta “non solo di istinti o emozioni”. Benigni ha citato Chaplin, i suoi gesti muti e “quella capacità di essere poetici e far ridere allo stesso tempo”, che lo rendono “uno di quei personaggi che ti seguono sempre, con il linguaggio del sogno”. E ha citato Fellini, “un incendio vero, il più grande regista del ‘900”, grazie anche alla “tecnica impeccabile” e alla capacità di “concentrare in un solo film una ventina di scene madri, come nella Dolce Vita e in 8 ½”.

Benigni ha iniziato a mostrarsi spiegando cosa è per lui fare un film: “Non divertimento ma impegno, da affrontare con studio, dedizione, disciplina e onore. Quando il regista dice sì, la scena resta per sempre ed è una responsabilità e un peso”. Ed è ancora più difficile oggi, “epoca in cui siamo straziati da immagini che non ci danno tregua”. Poi è sceso anche fisicamente dalla cattedra per abbracciare una delle presenti, che aveva svelato di aver scelto l’Italia per viverci dopo aver visto La vita è bella. E improvvisa, è giunta la sua confessione sul “tempo che passa e che va assecondato”, anche se porta con sé “la sensazione di essere io a rincorrere le idee e non più di sentire le idee che mi assalgono”. E la spiegazione sul perché un suo nuovo film tarda ad arrivare: “vedo l’idea crescere, e a un certo punto non mi convince più”. Poi la chiusura, per ribadire che “i sentimenti sono tutto”, ed è “mille volte meglio innamorarsi di persone e situazioni e abbandonarsi alle emozioni invece che resistervi”. E si va via con l’impressione di aver ricevuto da lui una vera lezione: su come leggerezza e profondità possano convivere. E su come la finzione del cinema sia in realtà la finzione che a ciascuno di noi è richiesta per affrontare in modo adeguato la complessità della vita.

Sylvia Bartyan

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