Monica e le altre

Uno dei temi forti di questa 79ma Mostra del cinema di Venezia è l’identità. Identità a 360 gradi, anche nelle sue dimensioni fluide e nelle sue transizioni. Si è parlato apertamente di una Settimana della critica nel segno del queer e infatti la sezione guidata da Beatrice Fiorentino ha aperto con due opere che mettono al centro della narrazione e dello schermo le drag queen in tutta la loro magnifica, ma anche a volte dolorosa, presenza. Con il cortometraggio Pinned into a dress di Guillaume Thomas e Gianluca Matarreseche segue lo splendore pagato a caro prezzo di Miss Fame, supermodel iconica e richiestissima che si costringe in faticosi corsetti per ore e ore con lo scopo di rendere il suo corpo omogeneo alla narrazione del mondo della moda, nascondendone gli attributi maschili, in una perfezione che sa di tortura. O come nel film francese Trois nuits par semaine di Florent Gouëlou ambientato nei locali notturni di Parigi dove sboccia l’amore tra l’aspirante fotografo etero Baptiste e la drag Cookie Kunty, aprendoci alla scoperta di stili di vita e di relazione.  

Oggi al Festival è la giornata di Monica di Andrea Pallaoro, uno dei cinque titoli italiani in concorso, di cui si sta già molto parlando sulla stampa internazionale anche perché l’interprete, Trace Lysette, è la prima attrice transgender protagonista in un film del concorso veneziano e potrebbe ambire alla Coppa Volpi (ma naturalmente non è la prima in assoluto, considerando la Daniela Vega di Una mujer fantástica del cileno Sebastián Lelio, dell’anno 2017). Pallaoro parla giustamente di Monica come di un film sull’identità di ciascuno di noi, un’identità messa alla prova dalle trasformazioni del corpo e dell’anima e dalla necessità di fare i conti con le ferite del passato, di ricucire legami familiari sfilacciati. Al di là del gender.  

Ha debuttato alle Notti veneziane, nell’ambito delle Giornate degli Autori, Le favolose di Roberta Torre, tra documentario e fiction. Il film parte dalla cancellazione dell’identità subita da molte transgender dopo la morte – quando le famiglie decidono di vestirle da uomo e scrivere sulla lapide il loro nome maschile – per poi lasciare spazio alle narrazioni variegate di un gruppo di loro. Con leggera profondità ci immerge dentro i sentimenti più intimi di queste amiche di vecchia data, capitanate dalle attiviste Porpora Marcasciano e Nicole De Leo. Le favolose si apre con una scena gioiosa in costume da bagno ma non nasconde i tormenti che costellano la vita di queste donne costrette a compromessi e rinunce, e spesso sottoposte ad abusi e vessazioni, ma soprattutto non veramente riconosciute anzi disconosciute, quasi fossero fantasmi. E allora la vera liberazione passa (anche) per l’immaginario: la forza del cinema è trovare le “parole per dirlo”, parafrasando il titolo di un classico della scrittura femminile come il libro di Marie Cardinal. Il cinema sa recuperare la memoria cancellata e persino dialogare con l’aldilà. Il passo successivo lo compie Roberta Torre affidando a Nicole De Leo il ruolo della madre, una madre tout court, senza aggettivi o declinazioni, nel nuovo lungometraggio Mi fanno male i capelli.

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