Domenica 1 Settembre 2020

“Final Account”

La banalità del conformismo, della paura, dell’indifferenza all’origine dei mali della Storia: di questo ci parla Final Account, ultima, rigorosa indagine del documentarista Luke Holland (scomparso quest’anno) sulla tragedia del nazismo e dell’Olocausto. Una raccolta di oltre 250 testimonianze iniziata nel 2008, per interrogare chi dell’orrore non è stato vittima ma complice: cittadini tedeschi che all’epoca erano giovanissimi componenti delle organizzazioni naziste o civili che vivevano e lavoravano in prossimità dei lager. Donne e uomini che hanno guardato dal lato opposto dei treni carichi di persone e ignorato (o tentato di ignorare) l’odore dei forni crematori costantemente accesi. Per paura di fare la fine di chi era rinchiuso lì, o perché di quegli “altri”, in fin dei conti, non gli interessava: «Il rogo della sinagoga», dice un testimone della Notte dei Cristalli, «non mi toccò molto. Non provavo alcuna compassione per gli ebrei». Giovani cresciuti a pane e propaganda che entravano nelle strutture di regime perché ciò significava «far parte di un gruppo, di un’élite».

Persone terribilmente “normali”, a vederle e sentirle parlare. Ma è di questa normalità che si nutrono le oppressioni e le stragi, di ieri e di oggi. Ecco perché il film di Holland è qualcosa di più dell’ennesimo confronto del cinema col trauma più emblematico del Novecento. Perché dall’essere documento punta (e riesce) a farsi riflessione allarmante sulla natura umana, su quanto sia facile, ancora adesso, diventare attori, anche solo per omissione, delle peggiori offese alla civiltà. È una resa dei conti con le coscienze, Final Account: le nostre, e quelle degli intervistati, tra chi ammette le proprie responsabilità e chi ancora si trincera dietro alibi o addirittura si rifiuta di condannare i crimini del nazismo. Un confronto da cui si esce inquieti: per quanto accaduto, per ciò che sta accadendo, per ciò che potrebbe accadere ancora.

Emanuele Bucci

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