De Seta raccontato da vicino nelle Lettere dal Sud di Attanasio

Al Taormina Film Fest Eugenio Attanasio, regista e sceneggiatore nato a Catanzaro, presidente fondatore della Cineteca della Calabria, parla di Vittorio De Seta, il regista che dagli anni 50 ha saputo dare un’immagine del Sud Italia, in maniera cruda e veritiera. Il suo saggio ci parla del suo rapporto con l’amato regista, nonché amico, dalle comuni origini.

Di Matteo Mangano *

Vittorio De Seta, figlio di nobili calabresi, vive a Roma, come era normale negli anni ’50 per la classe patrizia meridionale. Da bambino visita la Sicilia scendendo in auto assieme ai genitori: un’immagine che ci dà modo di farci un’idea più concreta di chi era l’uomo che farà nascere la voglia di cinema nel cuore di Martin Scorsese. E’ uno degli aneddoti emersi dall’intervista all’autore. De Seta si appropriava infatti di un mondo che non era suo: filmava il sudore dei contadini e dei pescatori o la polvere respirata dai minatori. Un uomo che teneva a donare al pubblico immagini reali che rispondessero ad una realtà comunque a lui vicina. 

Non a caso deciderà negli anni 90 di ritirarsi, per quello che sarà poi un breve periodo, nella campagna calabrese per fare una vita da contadino. Nell’ombra, senza che nessuno sapesse delle sue opere. 

Vittorio De Seta negli anni ’60

Racconta Attanasio che furono lui e i suoi colleghi a dissuaderlo al tempo da quella vita: da grandi ammiratori rifiutarono l’idea che quel talento finisse per essere dimenticato, e lui considerato come uno dei tanti nobili decaduti, con davanti a sé una carriera da produttore d’olio.

Fu una scelta azzeccata: durante gli anni ‘90 prende vita il lungometraggio Lettere dal Sahara, la storia di un immigrato senegalese arrivato in Italia, narrata dal suo punto di vista. 

Una decisione inedita e se vogliamo anticonformista, come del resto era lo stesso regista. Racconta ancora Attanasio di come fosse un uomo dal carattere molto difficile, facile all’ira e polemico. Ma anche schietto e diretto, dote che sicuramente lo ha aiutato nella creazione della sua arte. Eliminando anche i dialoghi e preferendo le immagini, per le sue particolari storie, porta in scena personaggi e situazioni che rimangono tuttora memorabili e che stimolano ancora le nuove generazioni di documentaristi a seguire le orme di quello che viene tuttora considerato il padre del cinema documentaristico italiano.

(*redattore di UniVersoME. Testata Giornalistica dell’Università di Messina)

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