È andato a Gianluca Jodice, il regista de Il cattivo poeta, film in cui Sergio Castellitto si trasfigura in un Gabriele d’Annunzio al crepuscolo della vita, il Premio ENIT “Il cinema che promuove la bellezza italiana”, che il 67mo Taormina Film Festival ha assegnato in collaborazione con l’Agenzia Nazionale per il Turismo.
Il cattivo poetaè stato il maggiore incasso italiano dalla riapertura delle sale e abbiamo incontrato Jodice per sapere com’è stato girare in una delle più affascinanti location del nostro paese e della nostra storia.
«Non è stato facile, anche perché eravamo preoccupati inizialmente che la sceneggiatura piacesse a Giordano Bruno Guerri, che è il responsabile della fondazione del Vittoriale, la villa che D’Annunzio scelse come sua dimora finale. Per fortuna è andata bene, ma poi è iniziata la parte più complicata, perché il Vittoriale è stracolmo di memorie e di oggetti, e noi lo abbiamo naturalmente un po’ svuotato per poterci muovere più liberamente.
In più, il Vittoriale ha una particolarità: tutto è rimasto congelato al 1° marzo 1938, la sera in cui morì D’Annunzio. Niente è stato più toccato da allora, persino la penna rimasta sulla sua scrivania.
Quindi c’era una certa ansia sul set, ma per fortuna eravamo continuamente supportati dai custodi che ci seguivano costantemente.
Ma oltre alla villa mausoleo, è stata molto bella anche la permanenza sulle rive del Garda. Dopo l’impresa di Fiume, D’Annunzio diede disposizioni ai suoi attendenti di trovare il posto dove si sarebbe stabilito fino alla fine dei suoi giorni, li sguinzagliò ovunque, dalla Sicilia al Trentino, finché non scelse questa dimora in collina che dava sul lago.
Già la scelta del territorio era per D’Annunzio un costrutto poetico, un’idea estetica che si dedicò poi ad abbellire costantemente, e non solo la villa, ma anche tutto il territorio circostante.
Fu lui a far costruire la Gardesana, così come da giornalista scrisse moltissimi articoli sul mantenimento della bellezza in Italia, era un’ossessione per lui. Fu proprio D’Annunzio a coniare la locuzione “beni culturali”.
Ma da dove nasce questa passione per la figura del Vate?
Non nasce prima del film. Matteo Rovere e Andrea Paris, i produttori, mi avevano proposto di girare un biopic, e sono andato con la memoria ai miei studi umanistici e mi venne in mente questa figura, chiusa nel suo castello di Dracula tra ossessioni, depressioni, donne, cocaina, un’immagine già molto cinematografica, e contemporaneamente raccontarne il declino e la morte che andava di pari passo con il declino della nazione che si andava a inabissare nella Seconda Guerra Mondiale.
Da partenopeo sei andato a finire un po’ fuori mano. Se dovessi tornare “a casa” c’è una location che ti piacerebbe sfruttare di Napoli?
A dire il vero il prossimo film sarà ancora più lontano, ma non posso dire altro. Napoli l’ho troppo vissuta, sono trapiantato a Roma da relativamente poco e credo ci sia bisogno di un distacco più lungo per poter guardare lucidamente a quella città.
Come ha fatto Paolo Sorrentino, che è tornato a girare a Napoli solo adesso dopo molti anni, e sono molto curioso di vedere È stata la mano di Dio anche in questo senso. Paolo e io siamo amici, vediamo spesso le partite del Napoli insieme, e una volta mi ha detto una cosa straziante, “ormai torno a Napoli solo per i funerali“.
Allora la domanda di chiusura è d’obbligo: cosa ne pensi di Luciano Spalletti sulla panchina del Napoli?
C’è curiosità e ansia, perché Spalletti è un allenatore con una sua scrupolosità caratteriale, bisognerà vedere come questa cosa si incastrerà con la città, se avrà una sua grazia, e la speranza è ovviamente che sia così. Vediamo.