Baby Pyramid: parla la regista danese Cecile McNair

«Più che sulla scelta, è sul destino» che verte il dramma della protagonista di Baby Pyramid, lungometraggio d’esordio della regista danese Cecile McNair, la quale, ospite del Taormina Film Fest (dove il film è stato presentato in concorso), ha parlato di questo lavoro e dei delicati temi che solleva, a partire da quello dell’infertilità femminile.

La storia della dottoressa Hannah (Danica Curcic), protagonista del film, prende le mosse da un dramma personale della cineasta: «All’età di trent’anni»,  racconta, «mi è stata diagnosticata una patologia, l’endometriosi, sono stata operata e i medici mi hanno detto che non sarebbe stato facile, e forse sarebbe stato addirittura impossibile, poter diventare madre. Ho cominciato a considerare come sarebbe potuta essere la mia vita senza figli ed è stato difficile, soprattutto perché a quell’età molte mie amiche rimanevano incinte, e io non ci riuscivo».

Inizia così l’interesse della regista (che oggi invece aspetta un bambino) per la questione trattata nel film, che la porta a conoscere le storie di molte donne che hanno dovuto affrontare il problema cercando di farvi fronte attraverso specifici trattamenti medici. «Ho intervistato tantissime donne che hanno seguito questo percorso, sia quelle che alla fine sono riuscite a diventare madri, sia quelle che non ci sono riuscite. Sono stati tre anni di ricerca e di lavoro».

Tra le persone con cui ha parlato McNair, nessuna però come Hannah, dottoressa in una delle cliniche che si occupano di infertilità e a sua volta afflitta dall’impossibilità di avere figli, mentre i ripetuti tentativi si trasformano in ossessione, solitudine crescente e decisioni dalle gravi implicazioni etiche. «Non ho incontrato faccia a faccia nessuna come lei», spiega la regista, «è una combinazione di tante donne che ho conosciuto: disperate, frustrate e disposte a tutto pur di riuscire ad avere un figlio. Donne che magari all’apice del trattamento erano disposte ad andare a un party e scegliere uno qualsiasi pur di avere possibilità in più di iniziare una gravidanza».

«Quello su cui volevo puntare lo sguardo», sottolinea perciò la filmmaker, «è quanto possano essere estremi e terribili questi sentimenti, e volevo che il film fosse fedele nella rappresentazione di queste sensazioni. In precedenza abbiamo visto film che hanno raccontato questo tipo di storie, ma senza dare la giusta enfasi a questo tipo di emozioni». Perché la condizione di cui ci parla Baby Pyramid riguarda anche la «percezione di essere escluse dalla società» a causa della propria condizione. «Ritengo che questo sia un argomento di cui parlare, di cui discutere, ed è anche il motivo per cui si è fatto questo film».

La regista ha avuto inoltre parole di ringraziamento per i suoi collaboratori: «Non avrei potuto realizzare tutto da sola, sono estremamente grata di essere riuscita a lavorare con persone di grande talento». Affrontando sfide espressive non da poco: infatti «uno dei temi del film era il tentativo di controllare la natura, e abbiamo cercato di inserirlo nelle immagini e in particolare nel lavoro sulla scenografia», per esempio nelle «scene nella clinica, che in realtà sono girate in studio», e dove perciò la sfida è stata trasformare le ambientazioni «riportandovi quello che i personaggi vivono».

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