I grandi restauri della Cineteca Nazionale al TFF. Parla Alberto Anile

Alla 68ma edizione del Taormina Film Fest, l’omaggio a Vittorio Gassman e Ugo Tognazzi, mostri sacri del nostro cinema nati entrambi un secolo fa, è avvenuto all’insegna dei film Senza famiglia nullatenenti cercano affetto (1972), interpretato e diretto dallo stesso Gassman (proiettato il 27 giugno alla Casa del Cinema) e Venga a prendere il caffè… da noi (il 29 giugno nella stessa sede), dove Tognazzi è diretto da Alberto Lattuada. Entrambi i lungometraggi sono stati presentati nell’edizione restaurata a cura del Centro Sperimentale di Cinematografia – Cineteca Nazionale. Per l’occasione, abbiamo parlato con Alberto Anile, giornalista, critico cinematografico, saggista e Conservatore al CSC – Cineteca Nazionale.

Senza famiglia nullatenenti cercano affetto e Venga a prendere il caffè… da noi. Alla luce del doppio centenario celebrato qui a Taormina, e dal punto di vista di chi ha svolto il restauro, quanto e come i due film sono rappresentativi dell’arte e della carriera di questi due grandi attori?

Lo sono in modo molto diverso, la scelta dei restauri non deve partire semplicemente dall’evento mediatico del centenario, altrimenti si riproporrebbero solo titoli come Il sorpasso e I mostri, che tra l’altro sono già stati restaurati. Invece è importante guardare ai film che non hanno mai avuto un restauro. In questo senso, la scelta di Senza famiglia nullatenenti cercano affetto ha avuto una duplice importanza: da un lato, il negativo non era in ottime condizioni, e in questo senso più si aspetta e peggio è: anche col digitale non si possono fare miracoli, non si possono riavere pezzi di film che non esistono più. Inoltre, si tratta dell’unico film totalmente diretto da Vittorio Gassman. Tutte gli altri, come ad esempio Kean, avevano sempre una co-regia tecnica, in quel caso Francesco Rosi, o addirittura erano veri e propri film a quattro mani, pensiamo al film fatto col figlio Alessandro o a L’alibi, realizzato con Adolfo Celi e Luciano Lucignani, anche questo già digitalizzato. Ed è significativo per la sua unica vera regia cinematografica non abbia proposto L’Amleto o Moby Dick o Il giardino dei ciliegi, ma una farsa, degnissima nel suo genere, non con l’amico Tognazzi ma con un altro amico di entrambi, Paolo Villaggio.

E per Tognazzi?

Il più rappresentativo, in relazione al film di Gassman che abbiamo detto, sarebbe stato Il fischio al naso, il miglior film di Ugo Tognazzi da regista, ma era già stato restaurato. E andava salvaguardata la parte preponderante della carriera di Tognazzi, che lo vede solo attore. Venga a prendere il caffè… da noi è andato l’anno scorso a Locarno in occasione della retrospettiva su Alberto Lattuada, ma già guardavamo all’anno 2022 sapendo che sarebbe stato il centenario di Tognazzi. E lui è bravissimo all’interno di una cinematografia medio-alta come quella di Lattuada, dove ci sono anche occasioni di comicità popolare che può parlare a qualunque tipo di pubblico, del Nord ma anche del Sud, degli anni ’70 ma anche degli anni Duemilaventi. Un film che porta il segno del suo tempo, ma perfettamente godibile ancora adesso. Non è un Tognazzi “strano”, è un Tognazzi molto tipico, nordico come i suoi natali e come il tipo di personaggi che sapeva fare meglio e prediligeva, con quel tocco di grottesco e di cattiveria che erano propri a lui e anche al fatto che lui, più generoso in questo degli altri grandi come Sordi, Gassman, Mastroianni, Vitti, Manfredi, si concedeva con meno remore anche a costo di sfiorare il ridicolo.

Il restauro dei film, in questa complessa fase per il nostro cinema, può avere anche un ruolo nel riunire le persone attorno all’evento sala, valorizzando contestualmente la divulgazione della memoria cinematografica?

È una cosa a cui penso da un po’ di tempo, facendo il parallelo con il mercato discografico. Dove il cd viene sempre meno venduto, la musica si è smaterializzata. E tutti i soldi vengono alla fine da eventi dal vivo, da assembramenti fisici di persone che prendono la macchina, pagano un biglietto ben più salato di quello del cinema e vanno ai concerti. Dove quasi quasi non è nemmeno importante se è musica pre-registrata o altro, ma conta il rito collettivo, l’essere fisicamente a vedere lo spettacolo. Perché questo non dovrebbe avvenire anche col cinema? Se ci fosse uno sguardo lungimirante rispetto al cinema, si dovrebbe passare dalla sola produzione con soldi a fondo perduto all’investimento sulla fruizione, non soltanto dei film del passato ma anche dei film del presente. Roma, ad esempio, è piena di arene dal vivo e di proiezioni che facciamo anche noi come Cineteca Nazionale, alcune gratuite, altre a pagamento. E la gente viene, risponde, non si preoccupa se il film è di cinquant’anni fa o meno. E gode molto di più l’esperienza, posto che la sala sia bella e il film si veda bene sul grande schermo. Il restauro da questo punto di vista avrà sempre più importanza, anche perché le stesse piattaforme avranno sempre bisogno di “carburante”, e noi abbiamo il più bel cinema che ci sia stato. Ed è lì a disposizione, basta trattarlo bene e renderlo digitalmente disponibile.

Tra i molti progetti della Cineteca Nazionale, me ne citeresti alcuni di cui andate particolarmente fieri?

Abbiamo presentato, al Festival del Cinema Ritrovato di Bologna, Nostalghia di Andrej Tarkovskij e La ricotta di Pier Paolo Pasolini. Quest’ultimo nella sua prima versione, prima che lui fosse costretto a manipolarla, tagliarla e aggiustarla, ridoppiando anche alcune parti. È stata ritrovata in modo fortunoso perché abbandonata in uno scalo ferroviario molti anni fa, l’abbiamo recuperata reinserendo inoltre tagli di censura che da quella copia mancavano e che noi avevamo. E perciò abbiamo ora il director’s cut de La ricotta. Dove ad esempio ci sono il volto del Cristo che ride o la vera ultima battuta di Orson Welles doppiato da Giorgio Bassani e l’esergo iniziale, con un cartello doppiato dallo stesso Pasolini, ancora più duro di quello che Pasolini inserì in seguito.

Il 1 luglio, invece, vedremo un altro vostro restauro a Taormina, C’era una volta Angelo Musco, che riporta alla luce il grande attore catanese…

Sì, è un film importante per Taormina, un’antologia postuma del 1953, diversi anni dopo la sua morte. è un patchwork fatto con pezzi di film (tagliati a volte dagli stessi negativi originali dei film di Musco), materiali di repertorio, scene nuove, a colori o in bianco e nero, e con la partecipazione di un giovanissimo Nino Manfredi (che di tanto in tanto compare come uno del pubblico che sta a vedere il film) e di Rossano Brazzi che fa da “presentatore”. È la punta dell’iceberg di un lavoro che stiamo facendo per recuperare tutto il materiale disponibile su Musco: una decina di film degli anni ’30 semi-dimenticati e ritrovati in condizioni molto complicate, e che ci stanno impegnando in alcuni casi per ritrovarli, in altri per rimetterli un po’ in sesto. L’omaggio a Taormina include anche un libro su di lui, Càspeta – Il cinema di Angelo Musco, edito dal CSC – Cineteca Nazionale, e che sarà presentato sempre venerdì 1.

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