Le anteprime del TFF: La mia ombra è tua, Eugenio Cappucci: “Ho diretto Giallini e Maggio”

Sono diversi, ma forse neanche troppo, i due protagonisti de La mia ombra è tua (in anteprima al Taormina Film Fest e dal 29 giugno al cinema per 01 Distribution), il nuovo lungometraggio di Eugenio Cappuccio, che adatta il romanzo omonimo di Edoardo Nesi (anche sceneggiatore con la co-produttrice Laura Paoloucci e il regista), edito nel 2019 da La Nave di Teseo. Da un lato, c’è Emiliano De Vito (il Giuseppe Maggio di Baby e School of Mafia), venticinquenne neolaureato in Lettere antiche col massimo dei voti e disoccupato. Dall’altro, c’è Vittorio Vezzosi, interpretato da Marco Giallini: che, dopo i salti nel tempo di Ritorno al crimine e le ultime indagini di Rocco Schiavone, si cala nei panni di un burbero scrittore sessantenne con all’attivo un solo libro di grande successo, del quale si attende invano un seguito da oltre vent’anni. Insomma, due letterati distanti non solo per generazione, Emiliano e Vittorio, ma accomunati da «una mancanza di centratura asfissiante, professionale, affettiva, che li destabilizza», afferma il regista del film. L’occasione di un cambiamento per questi due personaggi arriva quando si mettono in viaggio con la vecchia jeep (classe 1979) di Vittorio alla volta di Milano, dove si tiene la Fiera-mercato degli anni Ottanta e Novanta. E dove lo scrittore, atteso dal suo amore perduto Milena (Isabella Ferrari), terrà finalmente un discorso dopo decenni di eremitico isolamento. Nel frattempo il tragitto in macchina, col contributo di un’influencer, diventerà anche un seguitissimo fenomeno social.

Anna Manuelli, Marco Giallini, Giuseppe Maggio e Isabella Ferrari – Foto di Claudio Iannone

Cappuccio, che è stato assistente di Federico Fellini (dedicandogli poi due documentari) e ha diretto vari film (fra cui i lungometraggi Volevo solo dormirle addosso, Uno su due, Se sei così ti dico sì), nonché due episodi della serie I delitti del BarLume, ha voluto raccontare stavolta una storia «sulla perdita di colpevolezza e la conquista dell’innocenza, della consapevolezza che “da soli”, se pur non è impossibile tirare a campare, certamente non è così piacevole». Attraverso «due fragilissimi maschi d’oggi, separati da oltre trent’anni di sostanziale incomunicabilità colpevole, due tipi “interrotti” che, chilometro dopo chilometro, divengono “maestri speculari” del reciproco salto nel vuoto di una nuova età personale. Alla ricerca, sostanzialmente, di amore ed equilibrio». Grande importanza in questo percorso, non a caso, la rivestono le due figure femminili principali (interpretate da Ferrari e da Anna Manuelli), che, sottolinea il regista, «costituiscono in tal senso la sfida, con le loro istanze, di un’anima meno avvitata su se stessa» per i due uomini. Ma il film (una produzione Fandango con Rai Cinema che vede nel cast anche Sidy Diop, Claudio Bigagli, Leopoldo Mastelloni, Miriam Previati e Alessandra Acciai) propone in aggiunta uno sguardo sul nostro Paese oggi: percorso da Vittorio ed Emiliano in un cammino che, anticipa Cappuccio, passa per «la A1, la Porrettana, Bologna, trafori e Milano, stazioni di rifornimento, disco lupanari di periferia, magnifiche trattorie emiliane, scintillanti alberghi milanesi di gelido lusso, assurde fiere del Vintage dominate dalla frenesia del “prima si stava meglio”». La posta in gioco, chiosa il regista, è che ci sia «ancora qualche spazio di umano, per permettere alle generazioni, padri, madri, figli e figlie, un passaggio di testimone, il conferimento di una qualche eredità non sterile, interiormente ricca, e non esclusivamente basata sulla trasmigrazione di “cose” o danaro».

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