Oggi l’apertura con i primi due titoli

IN QUESTA PAGINA:

1) All Light, Everywhere (2021) 
2) Juste un mouvement (2021)

 

All Light, Everywhere (2021)

La sezione TFFDOC/INTERNAZIONALE.DOC del Torino Film Festival è il concorso dedicato al cinema documentario internazionale composto da 8 titoli, 4 ritorni e 4 new entries e 3 prime mondiali. I titoli in lista rispecchiano l’inquietudine politica e individuale del mondo contemporaneo. Ad aprire la sezione è il film statunitense All Light, Everywhere (2021) di Theo Anthony, in programmazione alle 16:30 nella sala Massimo 2. 

Il film documentario è ambientato a Baltimora, città natale del regista nominato nel 2015 da Filmmaker Magazine tra i 25 nuovi volti del cinema indipendente, e mette in scena una riflessione personale e filosofica sul legame fra immagini ed armi, in un mondo in cui le tecnologie di sorveglianza sono diventate parte del quotidiano di ognuno di noi. Benché siano dotate di una presunta oggettività, queste macchine complesse presentano tuttavia dei punti ciechi, proprio come gli occhi umani. 

In All Light, Everywhere Baltimora non è soltanto il fondale immobile che fa da scenografia alla moltitudine di storie raccontate da videocamere, armi, forze di polizia e organi di giustizia, ma si pone al centro del discorso come città banco di prova di molte nuove tecniche e tecnologie di sorveglianza, passando dallo sviluppo della fotografia nel XIX secolo alla sede dell’azienda che detiene una sorta di monopolio sulla produzione delle body camera negli Stati Uniti, la Axon.

 All Light Everywhere “è un film sulla visione e sul potere di imporre una certa prospettiva” e si inserisce all’interno del percorso artistico del suo autore come naturale prosecuzione e sintesi dei lavori che l’hanno preceduto, Rat Film (2016) e Subject to Review (2019), nella ricerca di nuovi strumenti per orientarsi nel presente e immaginare il futuro.

Juste un mouvement (2021)

In programma il 26 novembre alle 19:45 nella sala Massimo 2, Juste un mouvement (2021) è la libera reinterpretazione a opera di Vincent Meessen di La cinese (1967) di Jean-Luc Godard

Il film  ridà vita e cinema a Omar Blondin Diop, unico vero studente maoista de La cinese e protagonista delle vicende di Juste un mouvement. Il giovane filosofo militante, che nel film di Godard interpretava sé stesso, viene trovato morto nella cella in cui era stato rinchiuso dopo il suo ritorno dalla Francia. Siamo a Dakar, 11 maggio 1973. 

Da subito i famigliari e gli amici di Omar non credono alla versione che vuole il giovane studente morto suicida e chiedono che venga fatta luce sugli eventi che hanno portato alla sua morte, avvenuta in carcere sotto il regime di Léopold Sédar Senghor. È stato proprio l’impegno della famiglia di Omar l’elemento fondamentale che ha convinto il regista che “questa storia offrisse qualcosa di particolare e avesse rilevanza non solo nazionale.” Infatti, la vicenda offre lo spunto per una meditazione sulle relazioni tra politica, giustizia e memoria attraverso gli occhi di un autore che ha fatto della moltiplicazione di sguardi e prospettive nel racconto della realtà post-coloniale e del suo impatto sulla società contemporanea, un elemento distintivo. 

Il cast è composto esclusivamente da attori non professionisti, inclusi gli amici e i fratelli di Omar Blondin Diop e, così com’era stato per Omar ne La cinese, in questo film ognuno dei protagonisti interpreta sè stesso: un filmmaker, un rapper, un poeta, un lavoratore cinese, un maestro Shaolin, un intellettuale senegalese, il Ministro della Cultura del Senegal e il Vice-Presidente della Repubblica Popolare Cinese. 

Gaia Ramazzotti 

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