Clint Eastwood: A Cinematic Legacy, il doc sull’antidivo

«Parlo poco, ma quando lo faccio voglio dire qualcosa»: Eastwood, lo sanno tutti, è un uomo schivo e di poche parole. Regista, attore e produttore, incarna la figura dell’antidivo per eccellenza che ha sempre ridimensionato il proprio ruolo dietro la macchina da presa con una frase rimasta celebre: «Il 50% della riuscita di un film dipende dagli sceneggiatori, il 40% dagli attori. Al regista resta ancora un 10% da rovinare»

Sono tante le storie dietro i film di questo prolifico cineasta californiano, che si racconta in un documentario dal titolo Clint Eastwood: A Cinematic Legacy, in programma oggi in anteprima al  Torino Film Festival, realizzato da Gary Leva e diviso in nove capitoli per meglio mettere a fuoco l’eredità dell’ultimo grande eroe del west. Prodotto da Warner, alla quale Eastwood è stato legato per la maggior parte della sua lunga carriera, il film raccoglie non solo le testimonianze di Clint, che si racconta con intelligenza e ironia, ma anche quelle di tanti suoi colleghi e amici, come Steven Spielberg, Martin Scorsese, Meryl Streep, George Lucas Morgan Freeman, Gene Hackman, Tom Hanks, Hilary Swank, Kevin Costner, Bradley Cooper, Kathy Bates, Matt Damon, Leonardo DiCaprio, Mel Gibson, Kevin Bacon, Marcia Gay Harden, Tommy Lee Jones, Arnold Schwarzenegger, John Milius. Ripercorrendo la sua vita professionale, dal suo ruolo nella serie Gli uomini della prateria fino a Cry Macho – Ritorno a casa, il documentario riflette sull’eredità raccolta da Eastwood dai già citati Leone e Siegel, ma anche John Ford, Howard Hawks e Gary Cooper, sulla qualità del suo cinema all’incrocio tra classico e moderno, sul suo modo di lavorare con la troupe e di dirigere gli attori, pronto ad accettare imprevisti e improvvisazioni, sul coraggio di affrontare temi scomodi che altri avrebbero evitato, sul capovolgimento della mitologia del west che non di rado lo ha avvicinato al cinema di Frank Capra, sulla quella ecletticità che gli ha permesso di cambiare stile e sovvertire le regole del genere (non si era mai visto prima un ispettore come Callaghan, che superando i limiti consentiti dalla tradizione finirà per diventare un archetipo), di raccontare persone normali in circostanze eccezionali, eroi per caso, fragili e contraddittori, ma profondamente puri e onesti, spesso vittime di ingiustizie, ristabilendo così la verità storica. Ha indagato tra le pieghe della società e ha puntato l’obiettivo sugli orrori della guerra, dove a morire sono soprattutto i più giovani. «Un uomo tranquillo», viene definito Eastwood, come John Wayne nel film di Ford, «un cineasta in contatto con il cuore del Paese». I suoi personaggi, resi tridimensionali e iconici anche grazie a dialoghi formidabili e battute lapidarie, portano ordine nel caos del mondo, non attraverso la vendetta, ma la riconciliazione e quel sottile umorismo che contraddistingue la maggior parte dei suoi film, mescolando l’azione e il dramma alla commedia.  Sempre all’insegna di un incessante cambiamento, che per lo stesso Clint è il segreto della sua straordinaria longevità artistica. 

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