Una masterclass divertente, tra ricordi e speranze che sanno di Oscar, anche se da napoletano dòc Mario Martone preferisce fare le corna. «Non si sa mai». Il suo film, Nostalgia, correrà alla 95ma edizione degli Oscar per la categoria miglior film straniero e in attesa della short list di dicembre il regista racconta com’è nato questo film ambientato nel rione Sanità a Napoli. «Mi è stato proposto dal produttore e appena l’ho letto mi si è accesa una luce particolare – ricorda – Stavo finendo Qui rido io, poi arriva la pandemia e ci troviamo io e mia moglie Ippolita Di Maio chiusi a casa. Così invece di cominciare a montare il film finito, abbiamo cominciato a scrivere la sceneggiatura di quello nuovo, tratta da un romanzo ambientato in un quartiere che conoscevo poco. Ho cominciato a sognare questo luogo da lontano, e credo che un certo senso della memoria e della nostalgia di quel periodo abbia poi condizionato il film. Ho pensato subito come protagonista a Pierfrancesco Favino che stava finendo Il Colibrì, avevamo solo sei settimane di tempo, sarebbe bastato un solo caso di Covid per fermare tutto. Miracolosamente non c’è stato nessun caso, evidentemente una mano santa ci ha protetto. Poi è arrivato l’invito a Cannes e ora è cominciato questo gioco dell’Oscar che alcuni colleghi come Paolo Sorrentino mi hanno raccontato. Ci sono gli screening per i membri dell’Academy, non bisogna mai invitare personalmente qualcuno se no vieni buttato fuori, ma ci si può trattenere alla fine della proiezioni per eventuali domande. Non so quante possibilità avrò, ma già uscire con il film in Francia, Germania, Gran Bretagna è un gran risultato. Dopodiché è un gioco, ci sono 100 film in gara, uno meglio di un altro, la mano santa la vedremo».
A febbraio intanto lo attende l’uscita del documentario su Massimo Troisi, in occasione di quello che sarebbe stato il suo 70esimo compleanno. «Io e Massimo ci siamo conosciuti nel ’92, io avevo appena girato Morte di un matematico napoletano e lui era già Troisi, all’epoca stavo con Anna Bonaiuto ci vedevamo spesso a casa di Massimo a Roma, all’orizzonte ci sarebbe stato un film insieme, perché ne parlavamo, si scherzava, c’era grande feeling. Purtroppo non c’ stato tempo, avrebbe dovuto fare il trapianto, ma si sa che disse di voler fare Il postino con il suo cuore. Purtroppo Massimo è morto il giorno dopo la fine delle riprese. Sul set era provatissimo, noi eravamo sempre intorno a lui, a ridere, fare battute, ma il destino ha giocato la sua parte. A distanza di anni questo documentario ha il valore di poter fare quel film che non siamo riusciti a fare insieme e di rendergli omaggio».