NOI CE LA SIAMO CAVATA
(17:30, cinema Romano 2)
«Un film vicino alla vita dei ragazzi e delle persone semplici». Un omaggio a «una certa validità di sentimenti, una certa pulizia di cuore, una certa allegria di vita. Alla piccola gente». Così Lina Wertmüller parlava dal set di Io speriamo che me la cavo, film con Paolo Villaggio nei panni di un maestro delle elementari alle prese con un gruppo di scalmanati ragazzini del napoletano. Le parole inedite della regista sono contenute nel documentario Noi ce la siamo cavata diretto da Giuseppe Marco Albano e ideato insieme ad Adriano Pantaleo, il Vincenzino che portava i caffè al bar nel film cult del 1992.
Come aveva anticipato già l’attore a Ciak, il progetto è nato per scovare, trent’anni dopo, quegli ex-bambini e capire se anche loro se la sono cavata. Presentato in anteprima al
40° Torino Film Festival, il doc, prodotto da Mediterraneo Cinematografica e Terranera, sarà nelle sale da metà dicembre con Lo Scrittoio.
«Sono sempre stato un fan di Io speriamo che me la cavo – ci racconta Albano – e quando ho incontrato Adriano, abbiamo portato avanti insieme un piccolo sogno. A bordo di un furgone giallo, come una specie di Cicerone, Adriano ci porta alla scoperta di quei piccoli protagonisti del film, oggi adulti». Alcuni sono rimasti a Napoli, come Carmela Pecoraro, alias Tommasina, che si è dedicata alla famiglia, o l’attore Ciro Esposito, nel film Raffaele. C’è chi vive a Torino, come Mario Bianco, il piccolo Nicola tanto amante delle brioche. E chi ha avuto storie meno fortunate, con trascorsi di carcere, come Luigi Lastorina, Marco Troncone e Salvatore Terracciano.
Tra passato e presente, ricordi e interviste inedite di allora a Wertmüller e Villaggio, il documentario si chiude con l’incontro a casa della regista. «Quello che si sono detti Lina e Adriano quel giorno è rimasto nelle nostre anime», dice Albano, che ha scelto di utilizzare sul finale poche parole di Wertmüller per lanciare un messaggio di speranza: «Napoli se la cava sempre».