Paolo Sorrentino: «La verità è quella che uno inventa»

Il regista premio Oscar, ospite del Torino Film Festival, racconta il segreto dei monologhi dei suoi più grandi film

È Paolo Sorrentino a chiudere in bellezza questa quarantesima edizione del Torino Film Festival. Il regista e sceneggiatore premio Oscar incontra il pubblico al Teatro Astra di Torino e, in una sala gremita, commenta con il direttore Steve Della Casa e il giornalista David Grieco alcune scene più significative dei suoi film. Da Le conseguenze dell’amore (2004) a Il divo (2008), La grande bellezza (2013), Youth – La giovinezza (2015) per arrivare a Loro (2018): il tema della conversazione sono gli indimenticabili monologhi interpretati da attori del calibro di Toni Servillo, Michael Caine e Rachel Weisz.

Della Casa prende spunto da una lunga riflessione di Andre De Rosa, regista e direttore della Fondazione Teatro Piemonte Europa di Torino, sul cinema di Paolo Sorrentino, in cui i monologhi dei suoi film vengono paragonati a quelli realizzati da grandi autori come Shakespeare, Molière e Čechov.

Mi fa piacere rivedere tutte queste cose, sono un nostalgico – commenta Sorrentino –, ma questo paragone mi fa sentire più intelligente di quanto non pensi di essere. Io sono molto più terra terra. In realtà la mia esigenza di fare i monologhi nasce più dalla mia passione per la letteratura, dove prediligo libri che abbiano pochi dialoghi o che non ne abbiano affatto e che mi risultano quindi come lunghi monologhi. Poiché faccio film in cui i colpi di scena sono quasi inesistenti, i monologhi mi danno la possibilità di camuffare qualcosa che non c’è o di esprimere il mio punto di vista. Spesso un monologo nasce dalla mia frustrazione in società di non poter dire quello che penso”.

Con molta disinvoltura e con la spontaneità schietta che lo contraddistingue Sorrentino racconta dei numerosissimi ciak che sono stati necessari a Caine per realizzare il suo monologo in Youth. “Lui ci teneva molto a quella scena e forse proprio per questo cominciò a sbagliare”.

Del fortunato sodalizio con Toni Servillo che ha generato personaggi iconici, reali o di finzione, come Andreotti, Berlusconi o Jep Gambardella, Sorrentino dice scherzosamente: “Prima di iniziare le riprese Toni mi spiega il significato dei miei film e del suo personaggio. È un finissimo intellettuale e gli piace speculare sulle cose, anche su quello che ho scritto io stesso, e gli attribuisce significati che io poi uso nelle conferenze stampa. È il primo critico positivo dei miei film”.

Ma è su La grande bellezza che Sorrentino con naturalezza esprime l’apice del suo pensiero: “C’è un grande equivoco. Il problema è che lo spettatore cerca una verità nei film e io invece perseguo esattamente l’obiettivo opposto: non sono minimamente interessato alla verità. Sulla base di quello che mi interessa rielaboro a modo mio un’idea che sicuramente non corrisponde al vero”.

E a proposito di Loro rincara la dose: “Purtroppo molto spesso il rapporto tra lo spettatore e il film ha in mezzo questo Moloch da cui non si riesce a prescindere: la verità. Ma come stanno le cose lo dice Berlusconi nel monologo di Loro: “stanno come dico io”. Quella bugia diventa una verità in nome di come lui ha sceneggiato quella cosa. Ecco quel monologo è molto debitore del vero Berlusconi, in questo caso le mie qualità di scrittura si sono limitate ad una rifinitura. La verità sta lì, la verità è quella che uno inventa, non quella che uno crede che sia”.

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