Svegliami a mezzanotte. Parla il regista Francesco Patierno

SVEGLIAMI A MEZZANOTTE
(19.30, Cinema Romano)

Italia, 2022. Regia Francesco Patierno. Durata 1h e 11′.

Il 1° dicembre in concorso al 40º Torino Film Festival nella sezione Documentari Italiani c’è Svegliami a mezzanotte, liberamente tratto dal libro omonimo di Fuani Marino edito da Giulio Einaudi editore. Una conferma del momento di intensa creatività che sta vivendo lo sceneggiatore e regista Francesco Patierno: lo scorso ottobre a Roma abbiamo visto in anteprima mondiale il suo La cura, dove ha riletto La peste di Camus girando a Napoli durante il lockdown, e su Prime Video arriva la sua commedia familiare Improvvisamente Natale.

Tutt’altro genere e atmosfera per Svegliami a mezzanotte, dove Patierno ci racconta una storia sconvolgente. Basti pensare che l’incipit del libro è «Mi sono uccisa il 26 luglio 2012. Avevo da poco compiuto 32 anni e da neppure quattro mesi partorito la mia prima e unica figlia, Greta». Il film narra la storia vera di Fuani Marino, che per una forte depressione si lancia dal quarto piano di un palazzo e sopravvive alla caduta. Abbiamo intervistato il cineasta su questo suo nuovo lavoro.

Il regista Francesco Patierno

Patierno, come è nato il documentario su e con Fuani Marino?

Ho conosciuto Fuani due settimane prima dell’inizio della pandemia, alla presentazione del suo libro bello e potente, impossibile da classificare o recintare all’interno di un genere. Da quel primo incontro è scattata subito la fase creativa e abbiamo lavorato insieme alla sceneggiatura. A me piace raccontare il non detto e il non visibile e qui la sfida era enorme. Una sfida che è stato possibile affrontare grazie al fatto che Fuani si è fidata di me, dandomi una disponibilità totale e mettendomi a disposizione quello che nel libro non c’era: i suoi diari, le foto e i video di famiglia.

Il libro comincia con la caduta di Fuani, lei ha scelto una via diversa, perché?

Quella del disagio mentale è una tematica trattata molto poco, perché fa paura. Fuani è una bella donna, proviene dalla borghesia colta napoletana e gode, grazie al lavoro del marito, di un discreto benessere economico, così accettare il suo disagio ci sembra più difficile, faremmo meno fatica a comprenderlo se fosse un’emarginata sociale. Per questo ho pensato che al centro del racconto non potesse esserci la caduta, ma il percorso che l’ha portata a quel momento. Così sono emerse altre tematiche, il padre assume un ruolo più decisivo e il disagio emerge fin dalle pagine dei suoi diari, che Fuani ha scritto ininterrottamente fino al momento della caduta. Detto questo abbiamo ricostruito meticolosamente la caduta e sono riuscito a mostrarla “in soggettiva”, riprendendola con il mio iPhone, fissato col nastro adesivo all’interno di una scatola di frutta fatta cadere dal balcone.

Nella sua cinematografia, che si tratti di documentari come questo e Napoli ’44, o film di finzione come Il mattino ha l’oro in bocca e La cura, lei predilige partire da testi letterari. Come mai?

La parola scritta e il cinema sono da sempre le mie passioni e quando dirigo un film ispirato da un libro sento una particolare libertà: i sopralluoghi, invece che nel mondo, li faccio nel testo e con l’autore. Poi da parte mia c’è sempre un “rivisitazione”, non dirigo mai una didascalia del libro. Nel caso dei documentari l’uso del materiale di repertorio degli archivi, mi permette di usare quello che chiamo il “metodo DJ”: ricreo la realtà alternando spezzoni diversi, dove i cinegiornali Luce si mescolano a frammenti di storia del cinema e di servizi televisivi.

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