Fuori Concorso, al TFF Marco Turco racconta La generazione perduta

Il regista romano racconta gli anni '70 attraverso la figura di Carlo Rivolta

Raccontare “la storia di una generazione”, attraverso la “voce di un solista”, ma costruendogli intorno un contesto che è lo stesso al quale Marco Turco ha dedicato gran parte della sua filmografia, quello degli anni ’70: questa l’operazione alla base del La generazione perduta presentato Fuori Concorso tra i Documentari italiani del Torino Film Festival 2022.

 

Una “Storia d’Italia all’epoca della tossicodipendenza” nella quale la figura del giornalista di Repubblica e Lotta Continua Carlo Rivolta è più che centrale, addirittura emblematica, quasi “la voce di una generazione in caduta libera”, dopo le “enormi speranze e le amare delusioni” vissute. Una ricostruzione sentita, prodotta da Francesco Virga e da MIR Cinematografica e Luce Cinecittà, in collaborazione con Rai Cinema e AAMOD – Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico, realizzata anche grazie a fondamentali materiali dell’epoca come i documentari di Alberto Grifi e Antonello Branca, le inchieste televisive di Sergio Zavoli o Joe Marrazzo, oltre ai tanti tele e radiogiornali.

“Se la serie SANPA di Netflix si è focalizzata sull’esperienza della ‘cura’, La generazione perduta ne indaga a fondo gli antefatti costringendo a interrogarci su quanto è accaduto, sul suo perché e su quanto avrebbe potuto forse andare diversamente. L’eroina di massa è stato il sigillo tombale di un’Italia che si era immaginata diversa e che non era riuscita a diventarlo” – Francesco Virga

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Perché questo racconto, adesso?
Per me era il compimento di un percorso. Ho cercato di raccontare gli anni ’70 da tanti punti di vista, sono la mia generazione, ma forse mancava la parte più dolorosa, spesso rimossa. In realtà, per una mia curiosità, inizialmente ero partito dalla fantomatica operazione Blue Moon, una leggenda metropolitana secondo la quale agli inizi dei ’70 esisteva un piano concertato da Servizi Segreti e CIA che prevedeva di replicare quanto accaduto nei campus degli States con l’LSD sul movimento di contestazione che si stava sviluppando in Italia. Una falsa partenza, visto che dalle nostre ricerche non è emersa una corrispondenza con la realtà, ma che mi ha spinto a ripensare a quegli anni e al tema dell’eroina.

Che generazione è stata quella, perché “perduta”?
Una generazione che ha vissuto la speranza di cambiare il mondo, ci ha creduto, e si è comportata di conseguenza, pagandone il prezzo nel momento in cui quel tentativo è fallito, per una infinita di motivi. E ha portato a vari altri fenomeni, compreso quello dell’eroina, più doloroso per il suo coinvolgere la parte più indifesa tra quelle coinvolte, che pur non avendolo scelto si è trovata a combattere una guerra impossibile da vincere. Come dice Andrea Lapponi, figlio di Emanuela Forti, compagna storica di Carlo, di sognatori che non hanno retto, ma non hanno voluto sfuggire al loro destino.

La generazione perduta, Carlo Rivolta

Quella di Carlo Rivolta non è l’unica voce, però…
La scommessa era di raccontare tutto questo dal di dentro, e ringrazio Francesco per avermi spinto a percorrere questa strada. Carlo ci si è offerto quasi come un personaggio scritto da uno sceneggiatore per quanto incarnava tutti gli aspetti di quella evoluzione, ma nel documentario sono molte le voci – soprattutto femminili – interpellate.
FRANCESCO VIRGA: E’ una testimonianza del fatto che le donne, negli anni ’70, avevano trovato un loro spazio, diventando una delle punte avanzate del cambiamento, in un certo senso. E’ struggente che molte di esse abbiano percorso quella strada, senza essere veramente riconosciute, pagandone il prezzo. Questo è anche un omaggio indiretto, che Marco ha fatto a tutte loro. In generale, invece, quella era generazione che aveva occupato la piazza, non si nascondeva e non nascondeva il proprio problema, ponendosi come dimostrazione del fallimento della società.

Qualcosa che oggi non sembra percepirsi, non allo stesso modo
Non c’è quella conflittualità, quella reazione, perché paradossalmente non si riesce a individuare un nemico. Le nuove generazioni subiscono una società che le anestetizza. Come diceva già Pasolini, una delle cose che ha fondamentalmente cambiato la relazione dell’uomo con la società è stato il consumismo, che ha tolto punti di riferimento. Soprattutto alle classi più disagiate, costrette a volgersi a destra per ottenere qualcosa che non hanno ottenuto dall’altra parte e che probabilmente grazie al consumismo identificano con valori che non corrispondono alle loro necessità.

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Virga conferma che delle diverse persone interpellate, molte non hanno voluto partecipare al progetto, condividere ricordi troppo dolorosi, come avete scelto le quattro voci cui affidarvi?
Non sentivo il bisogno di fare tante interviste, come fatto in altre occasioni. L’idea era di raccontare Carlo attraverso i suoi articoli, i diari e le interviste rilasciate. La parte storico-sociale era coperta da lui stesso, quel che ci serviva era raccontare il suo privato, la sua intimità. Per Repubblica abbiamo scelto Luca Del Re, il suo caposervizio, un giornalista meno conosciuto di altri ma che gli era vicino, poi a parte la compagna e lo zio Rinaldo Chidichimo, forse il più conosciuto è Enrico Deaglio, ex direttore di Lotta Continua, ma soprattutto un amico con cui passavano insieme le estati. Ci siamo limitati a loro, e ne sono contento, perché mi ha permesso di rendere il racconto più familiare.

A loro si aggiunge la voce di Claudio Santamaria, un ritorno dopo il televisivo Rino Gaetano – Ma il cielo è sempre più blu diretto nel 2007…
Quando guardavo carlo, mi tornava sempre in mente Rino Gaetano, perché si somigliano in maniera spaventosa, sono fisicamente uguali. Ovviamente mi è venuto facile pensare a Claudio. Che con lui ha in comune sia l’essere nato e cresciuto a Roma pur di origini diverse, uno calabrese e l’altro lucano, e poi una sorta di purezza, ingenua, che ho trovato in entrambi. In Claudio perché lo conosco, in Carlo perché l’ho capito stando con lui tutto questo tempo. Non conosceva Carlo, ma ha fatto un grande lavoro, sulla voce, che è più bassa, ma che abbiamo reso insieme più chiara, avvicinandola il più possibile a quella di Carlo. E mi sembra che il risultato funzioni.

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