Entra sorridente sulle note di Insieme a te non ci sto più, Caterina Caselli, protagonista della masterclass di ieri pomeriggio presso il TFF Media Center. Si può definire una canzone ricorrente nel cinema italiano, anche solo per il fatto che Nanni Moretti l’abbia utilizzata ben due volte (in Bianca e, stonata, ne La stanza del figlio; ma – ovviamente – la si ascolta anche in Arrivederci amore, ciao di Soavi). Tuttavia Caterina non è lì in veste di cantante, e nemmeno di attrice, dato che i set li ha frequentati da giovanissima in vari musicarelli quando conobbe il successo, bensì di produttrice – con la sua Sugar Play, costola della Sugar Music da lei fondata, perché, come dice, «musica e cinema vanno “in stereo”» – del documentario Paolo Conte alla Scala – Il maestro è nell’anima, che Giorgio Testi ha realizzato intorno al concerto tenuto dal cantautore astigiano nel teatro milanese a febbraio di quest’anno (in uscita sugli schermi come evento solo il 4, 5 e 6 dicembre prossimi). Interpellata sul recente trionfo in sala di un altro doc musicale, Ennio di Tornatore, a cui ha partecipato, Caselli approfitta per tessere le lodi di un altro amico compositore, Morricone: «Lo conoscevo da tantissimo tempo, amava molto le voci. Tanto che quando gli presentai Elisa, nostra scoperta, e lei gli chiese se poteva scrivere qualcosa per un suo disco, lui volle capire tramite pentagramma quale fosse la sua estensione vocale. Ne nacque un pezzo finito in Django Unchained di Tarantino.»
Caterina e il cinema
Eppure no, non si può prescindere dalle “vite precedenti” di una voce e un volto così popolari e al contempo fuori dagli schemi, tanto che gli interlocutori Steve Della Casa e David Grieco coinvolgono quasi subito un ascoltatore speciale, Davide Ferrario, che diresse Caselli in Tutti giù per terra (1997): l’incisivo ruolo secondario della zia dell’ancor giovane Mastandrea, difficile da assegnare e assolutamente slegato dalla sua immagine, le fu proposto dopo averla vista in tv in un bar e aver udito qualche commento. Il regista illustra come stia confezionando un documentario su Italo Calvino autore di testi alla fine degli anni ’50, grazie alla reinterpretazione di Raphael Gualazzi, artista della label di Caterina.
Il passaggio alla produzione
A proposito del suo lavoro di talent scout Caterina Caselli racconta: «Era il 1977. Non sono mai stata gelosa degli altri, ho sempre avuto ammirazione per chi mi colpiva da un punto di vista creativo. Tanto che nel ’67, quando conducevo con Gaber il programma televisivo Diamoci del tu, lanciammo nella stessa puntata Francesco Guccini, portato da me, e Franco Battiato, presentato da lui. Ho conservato quest’esperienza, ho pensato “posso provare”. Ho fatto tanti begli incontri, non necessariamente con persone famose. Ciò mi ha reso curiosa, mi ha insegnato a saper ascoltare. Sono fortunata.»
Quante vite?
Come Conte (già più di una volta), la cantante/scopritrice nel 2021 è stata al centro di un documentario, Caterina Caselli – Una vita, 100 vite, per la regia di Renato De Maria. «Non lo conoscevo, ma dopo un po’ mi sembrava fossimo amici da sempre, mi sono fidata subito. C’era e non c’era, al punto che mi sono lasciata andare e ho raccontato perfino fatti molto privati, memorie che sono riaffiorate.» Caselli, con palpabile fierezza, non manca di elogiare un’altra sua “creatura”, Francesco Motta, autore della colonna sonora dell’unico lungometraggio italiano in concorso al festival, Non riattaccare, dove per quasi tutta la durata la protagonista (Barbara Ronchi) affronta una conversazione telefonica; una storia non facile da musicare. «Francesco lo conosciamo da anni, ha anche scritto un libro. Il suo è un progetto artistico articolato.» E sintetizza: «La musica serve al film, ma può camminare da sola.»
Dalla parte delle donne
Inevitabile identificare in chi intonava Nessuno mi può giudicare una precorritrice dell’orgoglio femminile, ribadito in tempi di cronache nefaste anche dalla grande attenzione riservata a C’è ancora domani di Paola Cortellesi. «In quelle canzoni c’erano verità senza tempo. Bisogna imparare ad accettare il rifiuto. E se ognuno di noi si accorge di qualcosa che non va fra i nostri vicini, non giriamoci dall’altra parte!»
Di Massimo Arciresi