I film di oggi: Lux santa e Silence of Reason

Il mito popolare vuole che Santa Lucia, protettrice della vista nella tradizione cattolica, fosse cieca (una versione afferma che si sia strappata gli occhi, un’altra che glieli abbiano cavati, durante le persecuzioni contro i cristiani del III secolo d.C.): ed è dunque per restituirle, simbolicamente, la luce, che a Crotone, in Calabria, si celebra ogni 13 dicembre il rito dei Fuochi dedicati a quest’icona religiosa, facendo ardere grandi piramidi di legno. Da questa suggestiva usanza prende le mosse Lux santa, il film di Matteo Russo (suoi i corti Amal, Amare affondo e Tell Me Your Name) in gara per il Concorso Documentari Italiani del Torino Film Festival.

Siamo nel quartiere crotonese di Fondo Gesù, dove un gruppo di adolescenti vengono seguiti nella ricerca della legna per la cerimonia e nei loro problemi quotidiani: ragazzi che devono diventare adulti troppo presto, e che cercano un riscatto nel proposito di mettere su la piramide più grande della città.

«Lux Santa», spiega allora il regista, «ha l’intento di sollevare il velo dalla cronaca nera e mostrare spiragli di una bellezza solitamente nascosta. Documentare una tradizione millenaria che possa resistere negli anni e innalzarla a livello spirituale. I nostri protagonisti, attraverso i loro occhi colmi di dolore, ci portano per le vie del quartiere mostrandoci di come in un territorio cosi ostile la vita, l’amicizia e l’unione intorno a questa tradizione popolare li aiuta a sopravvivere all’assenza dei loro padri».

Un’immagine di Lux santa.

Nel film (sceneggiato da Carlo Gallo, anche acting coach, prodotto da Orazio Guarino e Marco Santoro, una produzione Naffintusi e Rai Cinema col sostegno di Fondazione Calabria Film Commission), Russo ha puntato quindi ad «accorciare la distanza, in primo luogo, tra me e i miei “nuovi amici” e di conseguenza avvicinare lo spettatore a quelle vite, in maniera del tutto naturale. Dare la sensazione a chi guarda di poter essere lì con loro a superare ogni ostacolo e a raggiungere la vetta della maestosa piramide. Accorciare, dunque, la distanza tra opera e realtà, tra soggetto e oggetto».

Così, specifica il cineasta, il muro tra realtà e finzione «è invisibile, gli elementi documentaristici scompaiono ogni qual volta la struttura narrativa (che racconta i problemi dei nostri protagonisti) prende il sopravvento. Ho avuto accesso a queste vite in via del tutto esclusiva, mi sono conquistato la fiducia delle famiglie tassello dopo tassello e adesso mi ritrovo ad avere una seconda famiglia a cui voglio bene. Mi sono sentito l’obbligo di portare sullo schermo le loro fragilità, la loro forza, i loro sogni, la loro bellezza, ma soprattutto di come Santa Lucia li guiderà a diventare “spissule che si levano inta l’aria pronte a diventare stelle”».

In competizione nel Concorso Documentari Internazionali troviamo invece Silence of Reason, dove la macedone Kumjana Novakova, tra immagini d’archivio e testimonianze, costruisce un vero e proprio saggio intorno al processo (il primo a trattare lo stupro come un crimine contro l’umanità) nei confronti dei responsabili delle violenze sessuali durante le guerre nell’ex Jugoslavia, e in particolare le atrocità commesse verso migliaia di donne nel campo del villaggio di Foča, in Bosnia ed Erzegovina.

Un’immagine dal doc Silence of Reason.

«Mi piace immaginare che ogni film sia una possibilità in più per lavorare contro la violenza e l’assurdità dei tempi, del sistema e del mondo ingiusto in cui viviamo», ha detto la regista, «Alcuni luoghi sono più oppressi di altri, e per me è sempre più chiaro come proprio noi che veniamo da questi luoghi siamo in realtà quelli che hanno maggiori possibilità: la sopravvivenza è inscritta nelle nostre esperienze. Noi abbiamo la memoria della trasformazione e dell’adattamento; l’esperienza della solidarietà. Abbiamo vissuto tempi diversi da questi, in cui il desiderio collettivo era sentito in modo fisico, al contrario del vuoto che ora ci circonda. Sono arrivata a questa consapevolezza dopo anni di lavoro in contesti in cui noi “sottosviluppati” eravamo educati a rispettare gerarchie imposte da altre società “civilizzate”. La liberazione da tutto questo è al centro del mio lavoro: possiamo prendere posizione e condividere le nostre conoscenze come sopravvissuti».

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