Jazzista rinomato e appassionato, compositore di colonne sonore, ma anche figlio (il secondo dei sette) del mitico Clint. Ospite del TFF, Kyle Eastwood ha tenuto la sua masterclass al Media Center di via Verdi, prima del concerto serale ai Murazzi, corredato da un filmato-intervista con il famoso genitore.
Sotto la sua guida, soprattutto da bambino, ha partecipato ad alcuni film come attore. Lo spartiacque è stato il bellissimo Honkytonk Man (1982, road movie su un malmesso cantante in viaggio per Nashville insieme al nipote durante la Grande Depressione), del quale fu protagonista – ancora quattordicenne – insieme al regista/papà che cominciava a dimostrarsi un autore da prendere sul serio (già il precedente Breezy era un’avvisaglia). Non per niente è una pellicola in cui la musica gioca un ruolo preponderante. «Un’esperienza fondamentale, durante la lavorazione ho conosciuto il cantante Marty Robbins e la musica country in voga negli anni ’30, e ho iniziato a studiare la chitarra; poi sarei passato al basso» racconta Kyle.
Questione di predestinazione
«Da giovanissimo ero attratto dall’idea di fare il regista, più che l’attore. Ma intorno ai 17 anni ho cominciato a praticare la musica in modo più professionale». Un percorso inevitabile per chi ha sensibilità per l’arte e ne è circondato. «Mio padre e mia madre (Maggie Johnson, prima moglie di Clint Eastwood, ndr) amano i film e i dischi; il jazz, il country western, Johnny Cash si ascoltavano spesso in casa mia» Dopo i primi studi in California, Kyle Eastwood è entrato in qualche band, poi si è perfezionato a New York. Adesso non sono rari i tour in Europa, ha anche partecipato a Umbria Jazz un paio di volte.
Il musicista non può sottrarsi alle domande sulle collaborazioni con il padre, però vi si addentra più che volentieri. «A volte mi viene in mente una melodia, la suono e mio padre decide in quale direzione devo proseguire. Oppure si siede al piano, butta giù un paio di idee prima di girare. Io registro e provo a sistemare un po’. Poi applichiamo il risultato su un montaggio grezzo e lui mi dà il suo parere». Kyle si dice orgoglioso di aver preso parte al processo creativo di alcuni lungometraggi in particolare. «Sono mie le musiche di Lettere da Iwo Jima e Gran Torino, per cui i pezzi si sono messi insieme come per magia. Michael Stevens e io abbiamo sviluppato una prima composizione di papà, poi sono andato a Londra da Jamie Callum, gli ho fatto leggere la sceneggiatura e lui ha scritto un testo. Il brano, registrato in casa, è finito sui titoli di coda con l’aggiunta di archi.» Ma non va sempre tutto così liscio. «Per Changeling è stato necessario fare delle modifiche, anche perché, caso raro, il montaggio è stato rivisto.»
Capita meno spesso a Kyle di occuparsi di themes cinematografici. «Ho dei progetti miei, che riguardano il mio quintetto. Uno di questi, che coinvolge un’orchestra di 55 elementi, è piuttosto impegnativo: un tributo ai film di mio padre, che attualmente sta terminando le riprese del suo nuovo lavoro, Juror #2. Insieme guardiamo ancora vecchi classici, scegliamo a turno i titoli. Mi fa ancora scoprire belle cose».
Di Massimo Arciresi