“Un anno difficile” e gli altri Fuori concorso

Due improbabili ambientalisti, dagli autori di Quasi amici

«Siamo cresciuti negli anni ’80, la nostra generazione è quella dell’abbondanza consumistica e, un giorno, ci siamo svegliati e i nostri stessi figli parlavano di muri, di collasso e della necessità di cambiare. Ci siamo trovati di fronte a giovani che soffrono sempre più di eco-ansia. Anche per questo, l’intero film è attraversato dall’evocazione dell’immagine di ponti. Per noi si trattava di collegare due temi come se fossero due sponde: il sovraindebitamento e l’ecologia». Éric Toledano spiega così i nodi al centro di Un anno difficile (Une année difficile), il nuovo lungometraggio da lui scritto e diretto col consueto sodale Olivier Nakache, in anteprima Fuori concorso il 25 novembre al Torino Film Festival e in sala dal 30 novembre per I Wonder Pictures.

Un lavoro dove la coppia di registi torna, come nel loro maggior successo Quasi amici, ad affrontare questioni sociali con lo strumento dell’ironia. Che, stavolta, attinge come mai alla tradizione del nostro cinema: «Abbiamo voluto», afferma Toledano, «che la commedia all’italiana non fosse più solo un richiamo, ma un modello da seguire».

Proprio da quella scuola, fatta della «capacità geniale di ridere dei guai che si accumulano giorno dopo giorno» (aggiunge Nakache) e di personaggi non proprio integerrimi, sembrano provenire i protagonisti di Un anno difficile, Albert (Pio Marmaï) e Bruno (Jonathan Cohen), due spiantati figli del consumismo che, in difficoltà economiche, s’imbucano all’evento di un gruppo ambientalista, spinti non da nobili ideali ma dall’opportunità di scroccare cibo e bevande. Coinvolti così dagli attivisti, ne porteranno avanti la causa decisamente a modo loro. Ma sarà anche l’occasione di cambiare davvero vita?

Pio Marmaï e Jonathan Cohen in Un anno difficile.

Di certo, i due cineasti sentivano il bisogno di un ritorno all’umorismo dopo la drammaticità della loro serie En thérapie (remake francese dell’israeliana BeTipul) e della recente crisi pandemica. Proprio in quella fase nacque l’idea per Un anno difficile, osservando le contraddizioni della realtà che il Covid ha reso più evidenti: a un certo punto, racconta Toledano, «abbiamo trovato su internet un video di giovani attivisti che cercavano di impedire alla folla di entrare in un grande magazzino durante il Black Friday. Per noi, quella era una fotografia dell’epoca storica che stavamo vivendo: due visioni del mondo che si scontravano. Perciò il film è caratterizzato da due blocchi, da campi-controcampi, da due movimenti, come un valzer».

E nel documentarsi sulla galassia ecologista, specifica Nakache, «sono state le ragazze, con la loro combattività, a colpirci di più durante le nostre ricerche». Non a caso, il contraltare perfetto di Albert e Bruno è l’attivista Valentine alias “Cactus” interpretata da Noémie Merlant: «Il nostro cinema è pieno di coppie maschili», ricorda Nakache, «ma qui volevamo un trio con una protagonista femminile . L’abbiamo adorata nel film di Céline Sciamma [Ritratto della giovane in fiamme, NdA] e in Parigi, 13Arr. di Jacques Audiard. Eravamo certi della potenza della sua recitazione. Ha gentilmente accettato di fare un provino e, dopo un minuto, sapevamo già che sarebbe stata fantastica».

Isabelle Huppert, Lav Diaz, gli italiani e altro ancora

Fuori concorso al TFF il 25 novembre c’è anche una delle maggiori attrici francesi in attività, Isabelle Huppert (premiata a Cannes per Violette Nozière e La pianista, a Venezia per Un affare di donne, Il buio nella mente e per la carriera, a Berlino per 8 donne e un mistero, Golden Globe con Elle), protagonista assoluta del britannico Marianne di Michael Rozek. Il film è un monologo della stessa Huppert che tocca i temi intrecciati della vita, dell’arte e del cinema. Dalla Francia anche Jeune cinéma di Yves-Marie Mahe, rievocazione della stagione, tra anni ’60 e ’70, del festival di Hyères, e la coppia di mediometraggi Mimi De Doaurnenez di Sébastien Betbeder e Un pincement au coeur di Gillaume Brac.

Isabelle Huppert in Marianne.

Nella stessa data e sezione abbiamo l’acclamato regista filippino Lav Diaz, Leone d’oro al Lido nel 2016 con The Woman Who Left, e che stavolta porta un’altra opera fluviale da oltre 200 minuti, Essential Truths of the Lake (già a Locarno 2023), dove denuncia la situazione in patria sotto il regime autoritario dell’ex presidente Rodrigo Duterte (indagato dalla Corte Penale Internazionale per le migliaia di vittime della sua cosiddetta “guerra alla droga”) attraverso l’omicidio di una donna e la ricerca di verità dell’investigatore Hermes. Tinte noir (ma contaminate col dramedy) anche per Los delinquentes, ritorno al TFF del regista argentino Rodrigo Moreno, venticinque anni dopo il suo Mala época.

Non mancano le voci femminili, come quella di Savanah Leaf che con Earth Mama racconta la gravidanza di una giovane donna afroamericana nella Bay Area di San Francisco, e Sophie Dupuis, regista di Solo (proiettato in collaborazione col Lovers Film Festival), una storia d’amore fra i drag queen cabaret di Montreal. E, grazie a Valeria Sarmiento, viene riportato alla luce un altro lavoro del cileno Raúl Ruiz (1941-2011) che in El realismo socialista è autore di un affresco non privo d’ironia su Salvador Allende e della sua coalizione di sinistra Unidad Popular, prima del sanguinoso golpe di Pinochet.

Il nostro cinema, invece, presenta Indagine su una storia d’amore di Gianluca Maria Tavarelli, dove una alla coppia in crisi formata da Paolo e Lucia viene proposto di mettersi a nudo in uno show televisivo, e i due esordi della sezione dedicata La prima volta: Amen di Andrea Baroni, apologo tragico in un casolare di campagna abitato da tre sorelle, un padre molto duro e una nonna dedita alla lettura della Bibbia, e Girasoli, che nella Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne ci porta in un ospedale psichiatrico degli anni ’60: dirige la madrina di questo TFF Catrinel Marlon, nel cast Monica Guerritore, che interverrà sul tema di questa importante (tanto più pensando ai recenti femminicidi) ricorrenza.

Un’immagine di Amen.

L’Argentina è particolarmente rappresentata ed esplorata a Torino 41, anche e soprattutto attraverso i “Nuovi sguardi” della sezione speciale Il gioco della finzione, aperta oggi da Mamá, Mamá, Mamá di Sol Berruezo Pichon-Riviére. Ma dallo stesso Paese viene proviene anche la tragicommedia politica Puan di María Alché e Benjamín Naishtat, fra le proposte del Torinofilmlab, come il danese The Quiet Migration di Malene Choi, che segue la vita in campagna del ragazzo adottato Carl, e il candidato cileno agli Oscar The Settlers (Los colonos), western anticoloniale, debutto di Felipe Gálvez Haberle, scritto con l’apporto di Mariano Llinás e già Premio Fipresci a Cannes.

Per l’Italia di Ritratti e paesaggi, Giuliana Gamba rievoca in Era scritto sul mare l’impresa degli abitanti di Marettimo, che a inizio Novecento, per la pesca del salmone, si spinsero sino all’Alaska, mentre in Adesso vinco io Simone Herbert Paragnani e Paolo Geremei si misurano con la figura di Marcello Lippi, l’allenatore di calcio che, tra le altre cose, portò la nazionale italiana alla conquista della Coppa del Mondo FIFA 2006.

Primi assaggi anche per le opere, al confine tra realtà e immaginazione, di Nuovimondi: al centro di Failed State, firmato da Christopher Belle e Mitch Blummer, c’è un corriere che si muove per i sobborghi della metropoli rappresentandone la deriva. Dal Giappone, Retake di Nakano Kôta ci narra l’estate di un gruppo di ragazzi che girano un film, Lisbona è invece il teatro di India (regia di Telmo Churro), attraversato dalla guida Tiago, da una turista brasiliana e da un padre e un figlio l’uno marinaio in pensione e l’altro diviso tra le stelle e la fine di un amore. Al via, infine, anche le (ri)proposte di Back to Life, con una doppia portata: Now I Know Snow, degli sperimentali Marco Di Castri e Gianfranco Barberi, e il corto inedito di John Boorman Two Nudes Bathing.

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