«Una cernita di opere che ci auguriamo memorabili»: così il direttore artistico Giulio Base ha presentato i 120 titoli (di cui 23 anteprime mondiali e 22 internazionali) che popolano il 42° Torino Film Festival, realizzato dal Museo Nazionale del Cinema, il cui presidente Enzo Ghigo definisce quest’edizione «in continuità con il passato, proponendo un festival impegnato che strizza l’occhio alle nuove generazioni, capaci di vivere, interpretare e condividere l’anima di ricerca e sperimentazione che il TFF ha sempre incarnato». E dove, aggiunge il neodirettore del Museo, Carlo Chatrian, «la presenza di ospiti di rilevo internazionale, legata a grandi film del passato e del presente», rappresenta la volontà di «continuare a infiammare gli occhi degli spettatori». Il nuovo spazio (senza vincoli di anno, genere, durata) dello Zibaldone oltre a portare ulteriori divi omaggiati con la Stella della Mole, saluta il ritorno d’eccezione (dopo oltre vent’anni) di Maurizio Nichetti, che dirige Angela Finocchiaro e Serra Yilmaz in AmicheMai. Nella sezione troviamo inoltre le nuove fatiche di Paolo Licata (L’amore che ho), Radu Jude (Eight Postcards From Utopia), Álex Galán (Territory), presente l’attore Darko Perić, e di Krzysztof Zanussi (Perfect Number). Fra gli esordi dello Zibaldone, l’italiano Nero di Giovanni Esposito e l’indonesiano Crocodile Tears, mentre il cinema del passato (ri)vive anche in film come Brazil di Terry Gilliam (scelto e presentato dalla madrina del TFF Cristiana Capotondi), Ragazzi da Stadio (tributo allo scomparso regista Daniele Segre), Il Vangelo secondo Matteo (per il sessantennale del Cristo pasoliniano) e i doc Lumière! – L’aventure continue (con l’intervento del regista, e direttore del Festival di Cannes, Thierry Frémaux) e La musica negli occhi di Giovanna Ventura, sui sodalizi Federico Fellini-Nino Rota e Ettore Scola-Armando Trovajoli. Non si ignorerà la carneficina di Israele a Gaza, col doc From Ground Zero, progetto del regista palestinese Rashid Masharawi che raccoglie 22 corti realizzati da autori gazawi.
Opere «più accessibili, anche per un pubblico che non sia soltanto di navigati cinefili» (afferma Base) per la sezione Fuori Concorso, che annovera il distopico The Assessment (con Alicia Vikander ed Elizabeth Olsen), il noir Il corpo di Vincenzo Alfieri, Here’s Yianni! con Julia Ormond, Ho visto un re di Giorgia Farina (durante la guerra coloniale italiana in Etiopia: fra gli interpreti Edoardo Pesce, Lino Musella, Sara Serraiocco), il dramedy post-bellico My Dead Friend Zone (dove troviamo Sonequa Martin-Green, Ed Harris e Morgan Freeman), la docu-fiction firmata Pupi Avati Un Natale in Casa Croce, sul filosofo neoidealista, il licantropico Nightbitch con Amy Adams, il francese Paradis Paris dell’autrice di Persepolis Marjane Satrapi (che dirige Rossy de Palma e Monica Bellucci), la commedia crime Riff Raff di Dito Montiel (ospite del TFF), il dramma The Summer Book con Glenn Close (regia di Charlie McDowell, figlio di Malcolm) e il thriller soprannaturale Went Up the Hill (interpretato da Vicky Krieps).
La «colonna vertebrale autoriale» (citando Base) del festival vive nelle tre sezioni competitive, dove, tenendo conto anche dei corti (24 da ogni continente, di cui 4 dall’Italia) le registe superano i colleghi maschi. Le opere di non fiction, fra cui, ha spiegato il direttore del TFF, si sono privilegiati i doc «che rivolgono lo sguardo all’esterno, scrutando luoghi e personaggi unici», sono valutate dalla giuria presieduta da Roberta Torre (composta con lei da KD Davison e Federico Gironi) e spaziano da Controluce di Tony Saccucci, ritratto (tra filmati di repertorio, riprese originali e immagini dell’Archivio Luce) del “fotografo di Mussolini” Adolfo Porry-Pastorel, all’Iran di Ali Asgari (Higher Than Acid Clouds), passando per la Cina di The Shepherd, la pittrice Wilhelmina Barns-Graham in A Sudden Glimps to Deeper Things di Mark Cousins e gli italiani In ultimo di Maria Balsamo e Il mestiere di vivere di Giovanna Gagliardo , rispettivamente sul medico palliativista Claudio Ritossa e lo scrittore Cesare Pavese.
16 infine i lungometraggi in gara, dove, afferma Base, «la maternità, surrogata, agognata, sognata, rinnegata è, crediamo, il vero tema dominante» (e non solo del concorso, «ma di tutte le opere arrivate»): emblematico in questo caso il tedesco Vena. Ci si muove poi fra spaccati storico-politici (l’italiano Europa Centrale di Gianluca Minucci, durante la II Guerra Mondiale, con Tommaso Ragno e Paolo Pierobon), identità sessuale (il tunisino L’aiguille), regimi autoritari (dall’Argentina nel 1978 di Corresponsal alla Bielorussia di Under the Grey Sky), giovani generazioni (il brasiliano Kasa Branca) e auto-decostruzioni d’autrice, come quella di Eleonora Danco in N-Ego, che tra i camei vanta quelli di Elio Germano e Filippo Timi.