La 39ma Settimana Internazionale della Critica (sezione indipendente della Mostra del Cinema di Venezia organizzata dal SNCCI) si è conclusa con la vittoria di Don’t Cry Butterfly (Gran Premio IWONDERFULL al miglior film) e di Paul & Paulette Take a Bath (Premio del pubblico The Film Club). Consolidando, ci racconta la Delegata generale e Direttrice artistica Beatrice Fiorentino, un trend positivo già riscontrabile negli ultimi anni, ovvero l’elevata partecipazione delle nuove generazioni di spettatori. «Mi sembra definitivamente la sezione che parla ai giovani». Molti dei quali restavano anche durante i dialoghi con gli autori al termine delle proiezioni. «Un risultato importante, perché un cinema giovane [sono opere prime e seconde i lungometraggi della SIC, NdA] deve rivolgersi a un pubblico giovane, guardare al cinema che sarà parlando col pubblico che sarà».
La 39ma SIC si è aperta con la distopia di Planet B, ma dai film di quest’anno, più che una generazione post-apocalittica, mi sembra emerga una generazione pre-apocalittica, segnata cioè dal senso di una minaccia che incombe.
Sì, c’è uno stato di indeterminatezza del presente, che accomuna forse tutti i nove film, in una certa misura anche i corti, con un altro registro, meno apocalittico, ma con tante periferie e tante ricerche di sé. Mi sarei aspettata una presenza più massiccia di opere marcatamente ecologiste, questo in realtà non è avvenuto, ma quell’attesa è diventata l’affermazione di uno stato di sospensione in cui tutti ci troviamo, e che viene sintetizzato nell’immagine della SIC di quest’anno: l’arrivo di una tempesta dentro la quale la figura umana si smaterializza, diventando anche pixel e glitch. E alla fine, che cosa saremo?
I lavori di quest’anno hanno dato risposte diverse e interessanti.
Peacock ci dice che la vita è fatta di apparenze, lo stesso protagonista non sa chi è, perché a furia di recitare e rispondere a un bisogno esterno perde di vista sé stesso, la sua verità. Homegrown ci avverte che le democrazie occidentali sono a rischio, dall’interno, l’elefante nella stanza è ingombrante e non si può far finta di non vederlo. No Sleep Till è la tempesta che arriva, e noi decidiamo se andargli incontro, fare una festa sula spiaggia, restare ad aspettare mentre la nostra vita prosegue. Anywhere Anytime guarda frontalmente il presente italiano, la questione dell’immigrazione, al fianco di chi arriva in Europa con un sogno, una speranza.
Proprio Anywhere Anytime, che rimanda addirittura a Ladri di biciclette, mi sembra emblematico di un altro aspetto: questi giovani autori per certi versi si mantengono nel paradigma postmoderno (ad esempio nei numerosi riferimenti al cinema del passato), ma per certi altri lo superano, specie nella consapevolezza che la Storia non è finita, malgrado alcune sue dinamiche sembrino ripetersi ciclicamente.
È esattamente così: se restiamo nello specifico di Anywhere Anytime, questo giovane regista italiano di origine iraniana, Milad Tangshir, non si limita ad adattare al presente la lezione neorealista ma la interpreta, nella sua essenza, in una chiave contemporanea, trasferendo il senso di disperazione di Antonio Ricci in un ragazzo africano costretto a tradire i propri valori e sé stesso per sopravvivere. Penso poi a Planet B: anche lì ci sono riferimenti cinematografici che appartengono a un vecchio paradigma, ma si sceglie una declinazione eroica al femminile, un fatto più insolito. Il richiamo civile all’azione, se non alla rivoluzione, si lega perciò anche a una senso di sorellanza, con due personaggi femminili che, pur trovandosi in due realtà parallele, si aiutano.
Altra questione fondamentale, sottolineata anche dal palmarès che vede vincitore un film dal Vietnam, è la decolonizzazione dello sguardo e dell’immaginario. Mi pare che in questo nuovo cinema si possa riscontrare un livello cosmopolita, con soluzioni (come quella del realismo magico) ormai comuni a prescindere dai contesti, e poi il livello, altrettanto fondamentale, degli specifici background culturali e storici.
Sicuramente. In quest’ottica penso a Don’t Cry Butterfly ma anche a Perfumed with Mint, e quando i contesti sono più difficili, repressivi, segnati dal peso di una tradizione culturale non ancora pacificata, lì evidentemente il filtro del realismo magico è il modo per affrontare questioni spinose. È commovente come questi giovani autori e autrici riescano a trovare nell’immagine una possibilità di evasione, di resistenza e di controproposta culturale. E in questo senso, spero che la tempesta all’orizzonte di cui parlavamo possa essere l’opportunità per rifondare qualcosa. Chissà che non riusciamo per tempo a trovare una via di fuga, anche attraverso l’immagine.
Sei stata da poco curatrice di una Nuova Storia del Cinema dove si ripercorre in chiave divulgativa oltre un secolo di storia della settima arte fino ad oggi. Che effetto ti ha fatto questo viaggio, alla luce della tua esperienza di Direttrice di una sezione, la SIC, dove si scrive il futuro del mezzo audiovisivo?
È stato strano avventurarmi nel passato. Ho pensato che immaginare una storia del cinema oggi fosse utile solo a patto di realizzare uno scarto di sguardo. E di aggiornare il discorso canonico, che vedeva la fine dell’evoluzione linguistica intorno agli anni ’80, con l’etichetta di “cinema della restaurazione”, come se a partire da quel decennio non fosse successo più nulla perché non è arrivata nessuna rivoluzione paragonabile a quella del Neorealismo o della Nouvelle Vague. Ma io non sono assolutamente d’accordo. Mentre le cose stavano accadendo non c’era la distanza sufficiente per osservare quei fenomeni, ma oggi che la distanza c’è, bisogna riflettere sul portato di questi ultimi trenta, quarant’anni, fino al periodo più recente, pensiamo alla rivoluzione del cinema del reale. Non sono una storica, sono una critica, e volevo portare in questo lavoro la mia esperienza di cacciatrice di possibilità di futuro.
E a questo proposito, che futuro vedi per il cinema?
Ovviamente non ho la sfera di cristallo, ma vediamo che il cinema, dato ciclicamente per morto, ha sempre trovato nuove forme per esprimersi, rinascere, evolvere, traendo spunto dalla realtà, dalla Storia, mentre si stava facendo. E allora non so cosa succederà, ma qualcosa succederà.