L’11 giugno del 1984 moriva Enrico Berlinguer, uno dei politici italiani a lasciare un ricordo generalmente positivo – oltre che un segno importante – nella Storia del nostro Paese. Una figura che oggi rivive nel film di Andrea Segre, Berlinguer. La grande ambizione, scelto dalla Festa del Cinema di Roma 2024 per aprire la diciannovesima edizione e che sarà nelle sale il prossimo 31 ottobre distribuito da Lucky Red. A interpretare l’ex Segretario del PCI è Elio Germano, a capo di un cast completato da Elena Radonicich, Paolo Pierobon, Roberto Citran, Andrea Pennacchi, Giorgio Tirabassi, Paolo Calabresi, Francesco Acquaroli e Fabrizia Sacchi.
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IL FATTO:
Quando una via sembra a tutti impossibile, è necessario fermarsi? Non l’ha fatto Enrico Berlinguer, segretario negli anni Settanta del più importante partito comunista del mondo occidentale, con oltre un milione settecentomila iscritti e più di dodici milioni di elettori, uniti dalla grande ambizione di realizzare il socialismo nella democrazia. Sfidando i dogmi della guerra fredda e di un mondo diviso in due, Berlinguer e il PCI tentarono per cinque anni di andare al governo, aprendo a una stagione di dialogo con la Democrazia Cristiana e arrivando a un passo dal Compromesso storico che avrebbe cambiato tutto. Dal 1973, quando sfuggì a Sofia a un attentato dei servizi bulgari, attraverso le campagne elettorali e i viaggi a Mosca, le copertine dei giornali di tutto il mondo (Time compreso) e le rischiose relazioni con il potere, fino all’assassinio nel 1978 del Presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro: la storia di un uomo e di un popolo per cui vita e politica, privato e collettivo, erano indissolubilmente legati.
L’OPINIONE:
“La grande ambizione” del titolo, e della citazione di Antonio Gramsci, Fondatore del Partito Comunista Italiano, “indissolubile dal bene collettivo“, è quella che ha informato l’intera vita – non solo politica – di Enrico Berlinguer, figura fondamentale nella vita del nostro Paese e protagonista assoluto del film di Andrea Segre. Un film dai forti inserti al limite del documentaristico che per una volta sembra proporsi di dare una rappresentazione, più fedele e completa di altre, del politico e dell’uomo che in un momento – forse irripetibile – della nostra Storia sembrò quasi in grado di realizzare il cambiamento che sognava.
Un cambiamento al quale si opposero forze istituzionali, e non solo, come anche il film nella sua conclusione ricorda, raccontando degli ultimi governi Andreotti prima del rapimento di Aldo Moro, che dopo tante versioni cinematografiche vediamo qui in una veste meno usuale, al lavoro con Berlinguer per il compromesso storico che nessuno – dalla DC alle BR, dagli Usa all’Unione Sovietica – voleva. Un dietro le quinte poco raccontato, come gli altri ai quali il regista dedica spazio e attenzione, sovrapponendo i momenti familiari a quelli pubblici, nella ricostruzione di un contesto non facilmente riconoscibile (e forse comprensibile) per il pubblico moderno.
Che potrebbe restare spiazzato dalle ampie e interessanti parentesi storiche, ma soprattutto dalle tante necessarie – e forse troppo tecniche, in alcuni casi – spiegazioni di dinamiche tanto lontane dalla deriva che la nostra società ha preso. Dopo aver accettato pigramente e passivamente la demonizzazione di termini come “ideologia” e “politica”, e la proscrizione delle ambiguità e le manipolazioni di personaggi oggi beatificati, il quadro tratteggiato sullo schermo oscilla tra la fantascienza e la nostalgia.
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Eppure, a 40 anni dalla morte di Berlinguer, i temi caldi della nostra quotidianità sono sempre gli stessi: casa, lavoro, diritti, cultura, sanità pubblica, solidarietà. Forse un po’ meno quello dell’eguaglianza, defalcata dalle richieste dei più in nome dei famosi quindici minuti di celebrità di cui parlava Andy Warhol, ormai troppo pochi perché possano essere notati nel dilagante individualismo e visto il bisogno di eccezionalità, vera o presunta, che sembra essere diventata il nuovo mal du siècle.
Ma al netto delle riflessioni che ognuno potrà sviluppare, a partire da convinzioni e sensibilità proprie, al film di Segre va ascritto l’indubbio merito di sollevare dubbi e presentare alternative, anche di pensiero, anche apparentemente anacronistiche. E di non aver inseguito una drammatizzazione che forzasse in maniera innaturale quella che già le cronache del tempo offrivano, né di aver costretto l’ottimo Elio Germano a una mimesi figlia del trucco (come in altri film italiani, anche molto riusciti), lasciandolo libero di elaborare un proprio Enrico Berlinguer, fedele all’originale soprattutto nell’espressione della sua umanità e capace di trasmettere quell’idealismo, quella passione ed emozionare. Ancora oggi.
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Sono state diverse le occasioni di ricordo di Enrico Berlinguer nell’anniversario della sua morte, ricordato recentemente, tra tutte, le più semplici da recuperare potrebbero essere i due documentari usciti al cinema: Prima della fine, passato in anteprima mondiale al Biografilm, e l’Arrivederci Berlinguer di Michele Mellara e Alessandro Rossi.