Cannes 2023, la parola a Jane Fonda. Che ne ha per tutti

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Citizen Jane Fonda
Actress Jane Fonda performing antiwar skit with a sign reading 'Enemy'. She and several other entertainers put together skits with a radical spin and tried to stage them. They ended up in a local GI coffeehouse. (Photo by Bill Ray/The LIFE Picture Collection via Getty Images)

È stata lei la grande protagonista dell’ultimo giorno precedente alla premiazione del Festival di Cannes 2023. E non poteva essere altrimenti, perché se ti chiami Jane Fonda e hai una carriera di oltre 60 anni alle spalle, due Oscar all’attivo e una vita piena intensa ancora oggi, a 85 anni, non c’è giovane stella che tenga.

È stata la seconda lunga conversazione di questo festival, la prima in apertura con Michael Douglas, che è stato anche nei pensieri della figlia di Henry e sorella di Peter, nonché assidua frequentratice delle carceri di tutta America per il suo attivismo a supporto di qualunque causa valga la pena sostenere. E l’età le permette anche di poter dire praticamente tutto quello che vuole, colleghi compresi.

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Come Robert Redford, con cui la Fonda ha lavorato ben quattro volte, la prima nel 1966 ne La caccia di Arthur Penn, poi l’anno dopo in un classico della commedia, A piedi nudi nel parco, e l’ultima volta nel 2017, nel film Netflix Our Souls at Night.

Per quanto abbia confessato di «essere stata innamorata di lui» ha anche aggiunto che sul set «non gli piaceva baciare, ma non gli ho mai detto nulla, era sempre di cattivo umore e ho sempre pensato che fosse colpa mia. È una persona molto buona. Ha solo un problema con le donne». Di che genere non è dato saperlo. E a proposito proprio della loro ultima esperienza insieme ha aggiunto. «Avevo 80 anni e finalmente ho capito di essere cresciuta e di avere superato il problema. Quando arrivava sul set con tre ore di ritardo e di pessimo umore sapevo che non c’entravo niente. E nonostante tutto, ci siamo sempre divertiti».

Pochi anni prima di lavorare con Redford per la prima volta, Jane aveva conosciuto anche Alain Delon sul set di Joy House. E sempre parlando di baci ha commentato che «a lui piaceva baciare, e allora era l’uomo più bello del mondo. Ha avuto una vita difficile».

La frequentazione della Fonda con il cinema francese è stata assidua, essendo stata sposata con Roger Vadim (che la diresse in Barbarella), e a un certo punto lavorò anche con Jean-Luc Godard, in Tout Va Bien, un suo film del 1972. «Era un grande regista. Ma come uomo? Mi dispiace. No, no“.

Ma per fortuna ci sono state anche persone nel corso della sua carriera che le hanno lasciato bei ricordi. Come Lee Marvin, con cui lavorò in Cat Ballou, una commedia western del 1965. «Era favoloso, divertentissimo, e sempre ubriaco. Dormivamo nello stesso albergo e finiva la serata che dovevano portarlo su per le scale. Ma ero giovane e mi ha insegnato delle cose molto importanti su questo lavoro. Cat Ballou era una produzione a basso budget, le condizioni sul set non erano delle migliori, a un certo puntò mi saltò un dente ma non dissi niente per non rallentare il lavoro, giravamo anche 14 ore al giorno. Fu Lee a dirmi una cosa che non dimenticai mai: “Fonda, siamo le star di questo film. Se permettiamo loro di farci lavorare così tante ore, non siamo noi a farci male. È la troupe. Dobbiamo difendere i lavoratori, la troupe, e rifiutarci di lavorare per così tante ore. Dobbiamo difendere l’equipaggio”. Fu una grande lezione ».

Jane Fonda vinse il suo primo Oscar nel 1970 per Una squillo per l’ispettore Klute, grande film di Alan J. Pakula in cui recitava al fianco di Donald Sutherland, il film che lei stessa ha detto la portò a diventare un’attivista femminista.

«Ero stata in un obitorio dove mi avevano mostrato le foto di centinaia di donne picchiate a morte. Sono rimasta inorridita e ho pianto. Durante le riprese ho sentito le lacrime uscire dal naso e dagli occhi e mi sono detta: sto diventando una femminista». Oggi il movimento che maggiormente sostiene le lotte delle donne è il MeToo che secondo Fonda «non ha fermato le aggressioni e le molestie sessuali, ma ha permesso alle donne di sentire che possono parlare ed essere credute. Questo è molto importante perché, quando sei vittima di un’aggressione e la gente non ti crede, è come una doppia violenza e la ferita è più profonda».

Il secondo Oscar è nel 1979 per Tornando a casa, di Hal Hashby, per cui vinse anche il suo partner sullo schermo Jon Voight, un film su un veterano del Vietnam e il suo difficile reinserimento nella società. Un argomento che negli anni Settanta era particolarmente caro all’attrice.

«Nel 1970 vivevo a Parigi con Roger Vadim. Alcuni soldati americani che avevano lasciato il Vietnam iniziarono a parlarmi di ciò che stava accadendo laggiù. Non gli credevo perché ero convinta che quando gli americani combattevano da qualche parte avevamo gli angeli dalla nostra parte. Poi un soldato mi diede il libro di Jonathan Schell sul villaggio di Ben Suc in Vietnam. Quando ho chiuso il libro, ero una persona diversa».

Ma fu la candidatura che ricevette per Sul lago dorato, come non protagonista, che ricorda con maggiore affetto. Perché in quel film lavorò con suo padre Henry, che sarebbe morto poco dopo, e Katharine Hepburn.

«È stata una delle esperienze più belle della mia vita, fu assolutamente meraviglioso. Lo feci per mio padre. Ma la persona da cui imparai di più in quel film fu Katharine. Lei e papà vinsero l’Oscar, io no. Chiamai Katherine per congratularmi, era la sua quarta statuetta. Lei mi rispose “Non mi prenderai mai!”. Non credo le piacessi molto».

Una sensazione avuta anche nei confronti di Michael Douglas con cui lavorò in Sindrome cinese, «anche se Michael ha una qualità che a me manca, quella di non farlo trasparire». A dire il vero Douglas, proprio nel corso della sua conversazione cannense, ha ricordato l’esperienza di quel film come estremamente piacevole, anche per il suo rapporto con la Fonda e Jack Lemmon.

Jane Fonda
Jack Lemmon, Michael Douglas e Jane Fonda in “Sindrome cinese”

Nonostante gli anni che avanzano, Jane Fonda è ancora molto attiva. È al cinema con il seguito di Book Club, ha da poco lavorato nello speciale 80 for Brady, dedicato al grande campione di football americano ritiratosi quest’anno, dove ha ritrovato Lily Tomlin, «l’attrice con cui amo di più lavorare», avendo fatto con lei sette stagioni della serie Gracie e Frankie, dopo essersi conosciute sul set nel 1981 in Dalle 9 alle 5, orario continuato.

Ma il tempo della recitazione sembra essere passato, l’attrice vuole infatti concentrare tutte le sue energie nella lotta per combattere il cambiamento climatico.

«Abbiamo ancora motivo di essere fiduciosi se facciamo tutto nel modo giusto. Ma dobbiamo fare in fretta, la situazione è grave, abbiamo sette, otto anni al massimo per dimezzare il consumo di combustibili fossili. E le persone che sono meno responsabili di questa situazione sono anche quelle colpite più duramente. È una tragedia e la dobbiamo fermare, e punire tutti colori che ne sono responsabili. Ed è anche giunto il momento di ammettere che non saremmo in questa situazione se non ci fosse il patriarcato bianco. Combattere per il clima significa anche combattere il razzismo e il maschilismo. L’ho imparato quando protestavo contro la guerra del Vietnam: quando si scava ci si rende conto che è tutto collegato. E se risolviamo la crisi climatica senza risolvere il resto ci troveremo nei guai».

La politica è sempre in cima ai pensieri di Jane Fonda.

«L’anno prossimo avremo un’importante elezione presidenziale. Dobbiamo prendere il potere. A sinistra c’è la tendenza a non volere leader. È molto difficile parlare con chi non è d’accordo con te, ma non devi essere settario. Ho passato molto tempo a bussare alle porte di persone che vivono in comunità che sostengono Trump».

L’attivismo l’ha anche salvata dalla macchina hollywoodiana. «Hollywood non ha pietà della tua anima. Ma ho sempre avuto qualcosa oltre alla mia carriera. Se avessi pensato solo a quella, non avrei mai lasciato l’America per andare a vivere in una mansarda nel Marais con Roger Vadim. Non era un posto molto popolare dove vivere all’epoca. Non mi sento parte di Hollywood. Non vado alle feste. Anzi, spesso non sono invitata. L’attivismo mi ha dato una vita».

Eppure il cinema la cerca ancora, nonostante l’età. Ma sul futuro Jane Fonda ha un’idea ben precisa. «Ho quasi 86 anni e mi stupisco che ancora mi offrano da lavorare. Ma voglio fare film che mi mettano alla prova come attrice. Voglio ruoli complicati».