“120 battements par minute”: a Cannes i sieropositivi in lotta contro l’Aids negli anni ’90

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Carne e sangue, lacrime e sudore sono la materia di cui è fatto 120 battements par minute, il film di Robert Campillo in concorso a Cannes sulle le battaglie del gruppo francese di attivisti di Act Up che negli anni Novanta lottavano con spettacolari blitz per richiamare l’attenzione sulle vite di sieropositivi e malati di Aids e sulla necessità di frenare una pandemia che mieteva migliaia di morti. Tra i membri dell’associazione dal 1992 c’era lo stesso regista, che oggi torna a quegli anni in cui la malattia era considerata quasi una punizione per tossicodipendenti e gay.

120 battements par minute, che uscirà in Italia per Teodora Film, si divide tra il racconto delle loro battaglie contro l’irresponsabile indifferenza del governo, la mancanza di campagne di prevenzione, il cinismo delle aziende farmaceutiche, l’omofobia diffusa e quello della loro vita, guidata dalla gioia di esserci ancora, dalla paura, dalla voglia di divertirsi, ballare e amare. Sceneggiatore del collettivo La classe di Laurent Cantet, Campillo concede molto spazio alle accese discussioni tra gli attivisti, spesso eccessivamente lunghe, monotone e verbose (per “ritrovare la musica delle voci e l’intensità dei battiti”), così come di tanto in tanto cede alla tentazioni di immagini “autoriali”, che si portano dietro una buona dose di estetismi e compiacimenti. Ma le ragioni di quella generazione falcidiata dalla “nuova peste” arrivano al cuore dello spettatore senza pudore e senza retorica, grazie alla capacità del regista di mescolare obiettivi collettivi e bisogni individuali (come la bella storia d’amore tra Sean e Nathan), i problemi della malattia con l’urgenza di comunicare, le questioni morali con le sfide scientifiche, ragione e sentimento.

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