Colpevole di essere stata stuprata: “Beauty and the Dogs”, la Tunisia che ignora la violenza sulle donne

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Rubata della sua dignità, offesa nella sua natura, calpestata nei suoi diritti. Cosa rimane di una donna quando non ha neanche più la forza di riconoscersi come essere umano? In un Paese in cui la donna non è protetta se non a fianco di un uomo, in cui un bacio è considerato un’offesa alla morale pubblica e le leggi le dettano sempre i più forti, come chiedere giustizia quando questa risiede dalla parte degli aggressori? Colpevole di essere stata stuprata o secondo il titolo inglese meno esplicativo, Beauty and the Dogs, è un dramma che lascia gli animi infuocati di indignazione, sgomento, infinita amarezza. La regista tunisina Kaouther Ben Hania ritorna per la seconda volta a Cannes con una storia vera che non vuole tanto riflettere sulla tragedia di uno stupro nella vita di una donna, ma piuttosto sui diktat delle istituzioni, sulla violenza di una società patriarcale, sulla normalizzazione del male.

A Ain Zaghouan, località balnearia della Tunisia, nella notte tra il 3 e il 4 settembre 2012 una donna viene violentata da alcuni agenti della polizia mentre il suo compagno viene allontanato. A questo fatto di cronaca si ispira la regista per raccontare la storia di Mariam, accusata di offesa al buon costume. Così, una notte di festa si trasforma in un’incalzante lotta per i propri diritti.

Il fatto di cronaca, però, è solo una fonte di ispirazione per la regista che attraverso la storia di Mariam vuole raccontare le storie di tutte le donne rimaste inascoltate. Legata all’idea di cinema reale, Kaouther Ben Hania trova finalmente come conciliare documentario e finzione in un film che esplora i codici del cinema nell’arco di un incubo notturno suddiviso per capitoli. Se da un lato i piani lunghi e le sequenze lente contribuiscono a rendere il senso del tempo reale, dall’altro il racconto gioca con gli strumenti del thriller e dell’horror pur senza mai cedervi. Ciò che conta davvero per la regista è piuttosto creare un processo di tensione crescente che coincide con la costruzione di Mariam in quanto donna consapevole dei suoi diritti.

Il film segue il naturale corso degli eventi. Kaouther Ben Hania non voleva fare di Mariam un personaggio militante, ma una persona normale, perfino ingenua, che si ritrova a contestare il sistema sociale nel momento in cui fa esperienza dell’ingiustizia. A ciò corrisponde l’aumento della violenza dei “cani” che considerano la sua necessaria richiesta di giustizia come una sfida all’ordine di cui loro sono responsabili. È in nome del quieto vivere e della paura dunque che nessuno osa esporsi: dall’ospedale all’ufficio della polizia, scivoliamo in un susseguirsi di corridoi, alzate di spalle, minacce velate, spietate violenze. Se per le infermiere, i medici, i poliziotti, la storia di Mariam è solo l’ennesimo caso di stupro, una giornata di lavoro come tante, per lei rimane una ferita sanguinante a vita ma anche una presa di coscienza.

È la forza della disperazione che illumina il labirinto buio senza alcuna via d’uscita, è il coraggio di gridare i propri diritti anche quando si viene annichiliti dall’ipocrita silenzio, la bellezza di risentirsi esseri umani. Beauty and the Dogs è un ritratto fosco della Tunisia, ma il solo fatto di poterlo vedere al cinema significa che qualcosa sta cambiando. “Chiaramente non si sarebbe potuto girare questo film in Tunisia prima del 2011”, fa notare Kaouther Ben Hania rivolgendosi a tutte le persone che ignorano la rivoluzione e credono di poter continuare a vivere come sotto il regime di Ben Ali. Mariam ricorda che niente può essere più come prima.

Francesca Ferri

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