Cannes 70: “Wonderstruck”, la prima volta di Todd Haynes nel mondo dei bambini

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Un grande omaggio al cinema del passato, ma anche alla complessità di un mondo infantile che usa fantasia, sogni e immaginazione come anticorpi contro il dolore. Sulla scia del cinema spielberghiano per famiglie, Wonderstruck di Todd Haynes, tratto da La stanza delle meraviglie, bellissima graphic novel di Brian Selznick (l’autore anche di Hugo Cabret), porta sullo schermo una storia di formazione di grande fascino.

Il piccolo Ben ha appena perduto la madre (Michelle Williams). Ossessionato da un incubo ricorrente e vittima di un incidente che l’ha reso sordo, fugge dalla casa della zia in Minnesota per andare a New York, in cerca del padre che non ha mai conosciuto. Contemporaneamente la giovanissima Rose, sorda anche lei, arriva nella Grande Mela per cercare la madre attrice che l’ha abbandonata (Julianne Moore, che parla anche nel linguaggio dei segni quando interpreta Rose da grande) e suo fratello maggiore. Due storie parallele ambientate in periodi storici diversi – la prima nei turbolenti, difficili anni Settanta, la seconda negli rutilanti anni Venti che guardavano con ottimismo al futuro – destinate a incrociarsi in maniera inaspettata e rocambolesca e realizzate per celebrare il cinema di quegli anni.

Se la storia di Ben è ricca di colori e parole, quella di Rose è un tributo al muto di Video e Muranu. Il corto circuito tra l’omaggio al cinema delle origini e il fatto che il film sia stato prodotto da Amazon è solo apparente. «Il passato continua a ispirarmi – dice Haynes – e trovo sempre delle buone ragioni per guardare al cinema del passato. E Amazon offre a tanti bravissimi cineasti un’ottima opportunità per sviluppare ed esprimere la propria creatività, qualunque siano i temi e lo stile scelti». «Per la prima volta – continua il regista – mi occupo del mondo dei bambini, così complesso e affascinante, e ho deciso di farlo con la storia di due piccoli protagonisti isolati dal resto del mondo a causa della loro sordità, ma disperatamente in cerca della propria identità. È stata necessaria una grande attenzione al linguaggio del film per non correre il rischio di banalizzare il mondo interiore dei piccoli, protagonisti di una sorta di viaggio metafisico nel tempo».

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