Alla 19ma Festa del Cinema di Roma c’è anche la Napoli di Ciao bambino, opera prima di Edgardo Pistone (anche sceneggiatore con Ivan Ferone) presentata nella sezione Freestyle e ambientata nel rione Traiano. Ma, ci tiene a precisare il regista (che abbiamo intervistato, assieme ai giovani protagonisti Marco Adamo e Anastasia Kaletchuk), il suo film non vuole avere la presunzione di narrare la città partenopea: che «è misteriosa, difficile da decifrare, e ogni narrazione su di essa mi lascia interdetto, soprattutto quando viene da fuori. Per i napoletani non è più semplice raccontarla, ma appunto non pretendono di farlo. Perché, credo, sanno come me che è meglio non misurarsi con questa ambizione».
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Al centro del film c’è l’incontro fra due ragazzi, Attilio (Adamo) e Anastasia (Kaletchuk): lui è un diciassettenne segnato dall’assenza del padre, dipendente dal gioco e indebitato con l’usuraio Vittorio (Pasquale Esposito), lei viene da un altro Paese e si prostituisce sperando un giorno di riuscire a portare in Italia il resto della sua famiglia. Quando Attilio, lavorando per un piccolo malavitoso locale, si trova a fare da protettore ad Anastasia, fra i due giovani nasce un amore che dovrà fare i conti con la crudeltà del mondo in cui vivono.

La genesi di Ciao bambino (prodotto dal compianto Gaetano Di Vaio per Bronx Film, insieme a Anemone, Mosaicon e Minerva Pictures), «ha radici profonde, è una storia che mi riguarda», spiega il regista, secondo cui ogni film deve avere qualcosa di autobiografico, perché «il cinema è fatto di uomini, e le loro storie, quando sono oneste, ci permettono di vivere vite che non sono le nostre».
“Onestà” è forse la parola chiave dello sguardo ricercato da Pistone, che per i ruoli principali ha scelto due interpreti non professionisti al loro esordio: «Ho sentito da subito familiare il mio personaggio», spiega Adamo, «è molto vicino a me. Quindi rappresentarlo è stato facile, intuitivo, ma allo stesso tempo impegnativo, anche perché si trattava di un’opera prima e sentivo una forte responsabilità. Ma Edgardo è un regista che non ti mette pressioni, anche se ci sono. Io non sono un attore professionista, faccio musica. L’opportunità di questo film è arrivata in brutto periodo della mia vita: avevo chiuso uno studio di registrazione dopo alcuni mesi».
Kaletchuk invece lavorava come cameriera a Roma quando le è stato offerto di dare volto alla co-protagonista: «Sono stata immediatamente travolta dal fascino per questo film», ricorda, «che mi attraeva istintivamente come qualcosa di più grande di me, dove erano coinvolte tante persone appassionate. Come Edgardo, che da regista tiene molto a ciò che vuole dire ma non è autoritario: ti permette di esplorare, sperimentare, proporre, ascoltava tutto ciò che avevamo da dire. Abbiamo instaurato con lui un rapporto magnifico in tre mesi di lavoro, durante i quali ci vedevamo ogni giorno per occuparci del film e dei personaggi».
La cui vicenda, come per il precedente corto di Pistone Le mosche (premiato alla Settimana Internazionale della Critica di Venezia nel 2020), è rappresentata (nella fotografia diretta da Rosario Cammarota) in bianco e nero: «Una scelta che in parte deriva dai miei gusti cinematografici e un po’ dal mio modo di lavorare e di vedere le cose», spiega il cineasta, «Il bianco e nero infatti mi permette di creare un equilibrio tra la vita e il cinema: non mi piacciono i film dove è tutta realtà o tutto cinema». «Quando ho visto alcune scene in bianco e nero», aggiunge al riguardo Kaletchuk, «ho pensato che solo così sarebbe potuto esistere il film, in questo mondo parallelo dove i colori non esistono, che viene da qualcosa di vero ma diventa un’altra cosa».