Giuseppe Tornatore al TFF68: «Questo mestiere è un esordire continuamente»

Il regista di Ennio premiato con il Taormina Award 2022

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«È un esordire continuamente, un confrontarsi sempre col nuovo, con l’ignoto»: così il Premio Oscar Giuseppe Tornatore a proposito del suo mestiere di cineasta: parole tanto più significative dal momento che il regista le ha pronunciate da ospite di una manifestazione dedicata alle opere prime e seconde, il Taormina Film Fest. Dove Tornatore ha chiuso in bellezza la 68ma edizione presentando il suo acclamato documentario Ennio, sulla carriera e l’umanità del grandissimo compositore Ennio Morricone.

«L’emozione di accompagnare Ennio al Teatro Antico di Taormina c’è, non è un fatto retorico», commenta al riguardo il regista, che rammenta di come fu Federico Pontiggia (Direttore artistico del Festival assieme ad Alessandra De Luca e Francesco Alò) a invitare lui e il suo Ennio prima ancora che il doc fosse distribuito in sala. «Io non mi sono messo di traverso», racconta Tornatore, «perché sapevo sarebbe stata una bella esperienza. Ho accompagnato il film quando e dove ho potuto, talvolta rinunciando a begli inviti, perché non potevo andare dappertutto. Però a Taormina non potevo mancare!».

E, a proposito dell’enorme successo di pubblico riscosso da Ennio, tanto più in un momento difficile per il cinema italiano in sala, lo stesso regista non riesce a darsi una spiegazione esauriente: «Nessuno è mai riuscito a identificare la ricetta affinché un film abbia successo nelle sale. L’esempio di Ennio in qualche maniera non semplifica la questione, la complica. Perché in realtà la ragione di questo successo io stesso non l’ho capita. Ne sono felice, ovviamente, ma molto sorpreso. Molti hanno elogiato il montaggio, ma di documentari con un bel montaggio se ne fanno tanti, e quindi questo non può spiegare il successo del film. Le musiche eccezionali di Morricone, conosciute dappertutto, possono essere una ragione, però non possono spiegare fino in fondo questa reazione del pubblico».

Un’immagine da Ennio

Qual è allora, si domanda Tornatore, «la lezione di questo documentario? Che forse, ma lo dico con molta timidezza, se si offre al pubblico la possibilità di scoprire storie e persone che il pubblico ritiene di conoscere ma non conosce davvero, può essere un elemento di attrazione. La gente pensava di conoscere Morricone e invece non lo conosceva come uomo, come artista. Il fatto che lui abbia voluto raccontarsi senza limiti e false modestie ha sorpreso le persone».

L’esempio di Morricone e del doc che lo racconta, poi, ci parla di un riuscito incontro tra cultura cosiddetta alta e cultura popolare, dimostrando una volta di più quanto gli steccati rigidi e gerarchici tra l’una e l’altra lascino il tempo che trovano. «Una delle specialità di Morricone», sottolinea il regista, «è stata di avere capito immediatamente già dalla fine degli anni ’50, che c’era una frattura eccessiva tra la musica popolare da un lato e la musica colta dall’altro, e che questo schema non dovesse avere ancora vita lunga. Lui infatti ha lavorato per tutta la sua vita per rendere più colta e raffinata la musica popolare e più accessibile la musica contemporanea colta e accademica. Questa è stata la sua missione più o meno consapevole».

Una lezione che, applicata al cinema, potrebbe suggerire un medesimo atteggiamento di apertura, condiviso da Tornatore, che rifiuta le opposizioni manichee tra l’una e l’altra tipologia di prodotto culturale: «Io ho sempre rifiutato questa contrapposizione. Da ragazzo, quando seguivo la letteratura sul cinema, le riviste, ricordo dei film che piacevano tanto a delle nicchie ma non facevano una lira, anzi meno incassavano e più erano venerati. Dall’altro lato c’era il cinema che incassava tanto e veniva visto già solo per questa ragione con sospetto. Un pochino è cambiata questa situazione, ma non tantissimo. Penso che dobbiamo fare nel cinema quello che Morricone ha fatto con la musica, cioè non avere un atteggiamento snobistico nei confronti del racconto audiovisivo per il grande pubblico, e non essere eccessivamente “creduloni” rispetto al fatto che l’incomprensione automaticamente ci faccia guadagnare un posto in paradiso nel cinema».

Il regista ha poi avuto modo di esprimere il suo punto di vista sul difficile momento storico che stiamo attraversando, soffermandosi in particolare sul fronte di guerra aperto in Ucraina: «Mi è capitato in questi ultimi mesi di essere in situazioni festose, con le sale piene di gente che applaude, e io contemporaneamente dicevo a me stesso: “Ma in questo momento c’è gente che sta cercando di sfuggire ai bombardamenti! Dove siamo andati a finire?”. È una domanda che mi faccio continuamente, e cerco, sui giornali e seguendo le notizie, di trovare una logica, che non trovo».

«Mi sento parte di una generazione che si credeva privilegiata», ha aggiunto, «perché, grazie ai sacrifici di genitori e nonni, era riuscita a sfuggire a una fase terribile della nostra Storia. Ed era vero, ma ora siamo di nuovo in una situazione così. Sembra la trovata di un grande e perfido sceneggiatore». Il regista però ha preferito non rispondere sull’opportunità o meno di inviare armi in Ucraina: «È uno di quegli argomenti-capestro, dove pensando una cosa o l’altra sei comunque in errore. È un tema complicato, io capisco il tormento di tanti, è anche il mio tormento».

Uscendo dalla tragica situazione politica mondiale, Tornatore si è soffermato anche sui complessi cambiamenti che stanno interessando oggi il settore audiovisivo in Italia. Dove è in discussione la proposta di riforma delle cosiddette “finestre” tra l’uscita di un film in sala e la sua disponibilità per la visione domestica. «Spero soltanto», ha commentato al riguardo il cineasta, «che si riesca a trovare un parametro in grado di mettere d’accordo tutti. È una situazione che va regolata e va trovato un punto di equilibrio tra chi vorrebbe più tempo possibile per sfruttare i film in sala e chi vorrebbe tempi più rapidi perché i film possano ricominciare la loro vita sulle piattaforme dopo quella delle sale. È un enigma che ci portiamo dietro, e che spero che la recente proposta di legge possa risolverlo».

Comunque, Tornatore vuole mantenersi scevro da preconcetti negativi anche per quanto riguarda piattaforme streaming e serie tv. Su queste ultime, il filmmaker confessa di non essere un consumatore accanito, ma di non avere «neanche pregiudizi. Quando ce ne sono alcune che intuisco trattarsi di opere degne di attenzione le seguo, ma se non capita di vederle non mi sento uno spettatore di serie B. Chi mi faceva sentire in difetto rispetto a questo argomento era Bernardo Bertolucci. Mi chiedeva: “Ma le vedi, le serie?”, e quando gli rispondevo di no mi faceva: “Ma non capisci niente, sei rimasto all’antica!”. Fu lui infatti che mi convinse a cominciare a vederle».

«Per il resto», ha proseguito, «continuo a informarmi, a vedere i film, quando posso, al cinema. Altrimenti, ovviamente, li vedo a casa. Sono ancora un accanito collezionista di dvd e blu-ray, in ultima possibilità ci sono le piattaforme: sono abbonato solo a un paio di queste. Per esempio, non ho potuto verificare la messa in onda di Ennio su piattaforma perché non sono abbonato a quella piattaforma!».

Come spettatore, insomma, Tornatore si conferma «aperto a tutto, pronto ad ammirare le cose. Recentemente mi sono esaltato con Esterno notte di Bellocchio, che ho visto al cinema in due parti. L’ho molto amato, col suo modo così forte, così giovane di affrontare questo dramma. E ho anche apprezzato l’idea di dividerlo in due parti e farlo uscire in sala». Come regista, invece, «Non dico che non farò mai una serie, ma non dico neanche che mi ammazzo se non la faccio. Se capita una storia che capisco debba essere raccontata attraverso l’ampiezza narrativa offerta dalla serie tv, dico sì. Ma se c’è una storia che è giusto raccontare attraverso il timing classico del cinema, non capisco perché la si debba trasformare in una serie».

Sempre a proposito di nuovi media e tecnologie, il cineasta si è mantenuto laconico sul nuovo progetto internazionale cui sta attualmente lavorando, ma l’argomento è stato l’occasione per fare qualche confessione sul rapporto tra il regista e la piattaforma Zoom: «Ho dovuto necessariamente scoprire che si può lavorare via Zoom durante il montaggio di Ennio, che è durato due anni e mezzo, e un anno è stato tutto via Zoom, un’esperienza che non augurerei neanche al mio peggior nemico: quello che monti oggi il giorno dopo scopri che è fuori sincrono perché la connessione non era stabile. Ma, a parte questo aspetto, Zoom mi ha anche fatto scoprire che alcune cose si possono effettivamente fare a distanza. Negli ultimi mesi alcune fasi di preparazione di un progetto cui sto lavorando da un po’ di tempo le sto svolgendo via Zoom, e ancora adesso sto facendo così, in attesa che certe condizioni di lavoro si risolvano».

Tornatore ha quindi concluso esprimendo alcune considerazioni sulla propria attività di regista: «Rispetto a questo mestiere non ti devi mai sentire qualcuno che ha capito, che ha imparato. Perché è un mestiere che non si può imparare. Più lo fai e meno lo impari, è sempre nuovo, sfugge, non ha regole, non ha schemi. E forse è per questa ragione che non smetto di amare il cinema: perché le cose, quando finalmente le hai capite, se le hai capite davvero, forse cominci ad amarle meno. Poi con le complicazioni che viviamo oggi, è ancora più difficile capire questo mestiere, e scopri di amarlo sempre di più. E di apprezzare sempre di più il lavoro degli altri quando ti piace».

A questo proposito, il cineasta ha proposto il ricordo toccante del collega e amico Francesco Rosi: «Quando vedeva un film e gli piaceva, usciva dal cinema, chiamava il regista, che lo conoscesse o no, per dirgli quanto gli era grato. Una volta mi chiese il numero di Clint Eastwood, dopo aver visto Million Dollar Baby! Essendo il nostro mondo abbastanza chiuso da questo punto di vista, mi colpì la sua generosità. Da un po’ di anni a questa parte, quando vedo un film che mi piace, voglio farlo sapere a chi ha faticato per realizzarlo».