CIAK BIZARRO! L’ASSEDIO DI LENINGRADO

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Prosegue il nostro excursus sui film mai realizzati dai nostri più importanti registi. Dopo Il Viaggio di G. Mastorna di Federico Fellini, il secondo “titolo che mai non fu” è Leningrado o L’assedio di Leningrado di Sergio Leone, che di “bizarro” ha soltanto il fatto che il grande regista romano il primo maggio del 1989 sarebbe dovuto partire per la Russia e definire gli ultimi accordi produttivi per il film, ma purtroppo la morte lo colse all’improvviso durante la notte precedente, sottraendoci prematuramente (il regista aveva solo sessant’anni) un autentico innovatore della settima arte. Ed è altresì singolare il fatto che Leone per far conoscere il valore del suo progetto alla stampa parlasse proprio della morte.

«Dopo il sorriso di De Niro, alla fine di C’era una volta in America, cosa c’è che potrebbe seguire questo sogno sull’America perduta?… La morte.  E questo film sarà sulla morte. Ma non intendo affatto mostrare come De Niro morrà. L’apprenderemo da colei che l’ama. Lei guarda le “attualità” dentro un cinema; riconosce le immagini sullo schermo; sa che è lui che filma; riconosce il suo stile di ripresa, il suo modo di riprendere la battaglia… E mentre guarda, vede l’obiettivo, la macchina da presa, saltare, esplodere: capisce che è morto. La realtà che si allontana, il freddo della morte: luci in sala, era un film. Pensate a Via col vento. Una storia d’amore, anche quella, sullo sfondo della guerra».

Leningrado è un progetto al quale Leone iniziò ad appassionarsi alla fine degli anni Sessanta, quando per caso, durante uno dei suoi viaggi in America, si imbatté in una copia del libro I 900 giorni -L’assedio di Leningrado di Harrison E. Salisbury, caporedattore del New York Times. E dalla lettura di questo saggio storico prese forma l’idea di una storia d’amore “impossibile” tra un cineoperatore americano e una ragazza russa a Leningrado, durante l’assedio nazista alla città che durò quasi tre anni dall’agosto del 1941 al gennaio del 1944. 

Il soggetto del film, cinque pagine di appunti, scritte da Leone con Piero De Bernardi, Leo Benvenuti ed Enrico Medioli e depositate nel 1986 è più una dichiarazione di intenti che non una vera e propria sinossi, ma il regista aveva già in mente il suo protagonista, ancora una volta Robert De Niro, e una grandiosa sequenza di apertura, un lunghissimo piano sequenza con le mani di Sciostakovic che sfiorano la tastiera di un pianoforte (la musica è appunto la Leningradese) e il risveglio dei cittadini sovietici che sembrano prepararsi per andare al lavoro, ma in realtà vanno tutti al fronte, mentre all’orizzonte si profilano le sagome nere dei panzer tedeschi.

Giuseppe Tornatore ha scritto una sua versione della sceneggiatura e prima o poi vorrebbe riuscire a realizzare lui questo epico film.