GENNARO NUNZIANTE, DA CHECCO ZALONE ALLA DISNEY PER RACCONTARE I TEENAGERS DI OGGI

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Cosa succede se Gennaro Nunziante, lo sceneggiatore e regista dei film di Checco Zalone (anche del prossimo che uscirà a fine 2017 ma, dice, «è davvero troppo presto per parlarne») incontra il mondo Disney, in particolare quello degli adolescenti? Ne esce una commedia intelligente sul rapporto tra genitori e figli “teen”: è Come diventare grandi nonostante i genitori, scritto da Nunziante, diretto da Luca Lucini e tratto dalla serie di Disney Italia Alex&Co., al cinema dal 24 novembre. Nel cast tutti i giovani protagonisti della tv (Leonardo Cecchi, Eleonora Gaggero, Saul Nanni, Beatrice Vendramin, Federico Russo più Emanuele MisuracaToby Sebastian di Il trono di spade) più gli adulti Giovanna Mezzogiorno, Matthew Modine, Roberto Citran, Paolo Calabresi e Margherita Buy. Il film racconta di un gruppo di sedicenni decisi a partecipare a un concorso musicale per band scolastiche nonostante la preside abbia deciso che il loro istituto non aderirà. I genitori si schierano dalla parte dei ragazzi, anche troppo: l’autorità degli insegnanti non è più riconosciuta, e nel percorso di crescita si crea parecchia confusione. Nunziante ne sa qualcosa perché di figli adolescenti ne ha tre, di 12, 16 e 17 anni.

Quanto c’è della sua vita di padre nelle storie di questi genitori?

Ho cercato di raccontare tutti i miei vicini , quelli che ho frequentato in questi anni, quindi soprattutto i genitori degli amici dei miei figli. Ho riflettuto su quello che mi capita di ascoltare quando porto mio figlio a calcetto, o a scuola con mamme che fanno a gara per organizzare le feste di compleanno…

E quali sono i grandi errori che facciamo con gli adolescenti?

Ho raccontato anche quelli che commetto io: sono un pessimo padre, ma cerco di non commettere gli errori irreparabili, come credere che siamo gli unici educatori dei nostri figli. E soprattutto non ho mai creduto che una famiglia sia composta solo da madre, padre e figli, ma da tante altre persone che girano intorno al nucleo famigliare: non bisogna commettere l’errore di chiudersi.

In particolare, nel film si racconta che l’autorità degli insegnanti non è più riconosciuta…

Ci riteniamo gli unici responsabili dei figli quindi guai a chi mette piede nel territorio educativo. Gli insegnanti non sono più educatori perché la scuola ha abdicato a questo ruolo, vedo un impoverimento dell’elemento scolastico più importante: l’umanità. Oggi le scuole sono cariche di una competitività allucinante. E poi di fatto ci sono scuole per le élite e scuole per il sottoproletariato: tutto questo provoca il grande disastro culturale che è il classismo. Questo film vuole raccontare proprio che l’io deve dare lo spazio al noi.

Che futuro vede allora per questi ragazzi?

Il nostro paese non cresce perché a mancare è la fiducia. Ma la fiducia torna solo se si ricostruisce una comunità. Ora è un momento di conflitti e contrapposizioni, ma se non si rimette al centro della vita la possibilità di uscire per strada e relazionarsi, si è sempre nella propria povertà.

Come ha lavorato sulla serie Disney da cui è tratto il film?

La serie si muove su codici più facili, mentre un film è fatto di sfumature. Quindi la serie è stata l’incipit, ma poi abbiamo estrapolato i ragazzi e li abbiamo resi più credibili nella loro contemporaneità.